Inchieste
Reportage a bordo della Sant’ Alfio, «Ecco come passiamo le notti noi cacciatori del mare»
Catania – Basta che non sia una notte di luna crescente o di luna piena, dove la luce farebbe inevitabilmente concorrenza a uno dei più antichi metodi di pesca conosciuti, la “circuizione con la lampara”, ed i pescatori del golfo di Catania, come ogni sera, sono pronti alla loro battuta di pesca. “Loro”, i pescatori, si definiscono infatti «cacciatori del mare». E, così come i cacciatori, dovrebbero – il condizionale è d’obbligo – rispettare l’ambiente nel quale operano e garantire il ripopolamento di flora e fauna.
È verso il tardo pomeriggio che il porto di Catania inizia a rivivere, con il viavai dei pescatori pronti a salpare da quello che definiscono “porto antico”. Per intenderci quello della zona dei silos, testimonianza del murales più grande d’Europa, se non del mondo, realizzato da Vhils e ben visibile nella sua completezza solo in mare aperto. Una partenza preceduta da quello che è ormai un rito: la sistemazione delle reti spesso consunte dall’uso e dalla loro conservazione all’aria aperta, quindi non adeguata a proteggerle dalle intemperie, con la cosiddetta “suorata”, ovvero la cucitura dei sugheri galleggianti alle reti.
Le reti sono uno degli strumenti più preziosi per i pescatori: a parte il loro costo attuale, fino a 16 euro per un chilogrammo di materiale, devono essere sistematicamente “rattoppate” prima di ogni uscita in mare, specie per la pesca a circuizione, ovvero la creazione di un grosso cerchio che va via via stringendosi imbrigliando fra le maglie delle reti il maggior quantitativo di pesce possibile. «Iniziando da zero – spiega Angelo Costanzo, noto al porto catanese come “il solitario” e che costituisce la terza generazione di pescatori catanesi della sua famiglia insieme col fratello Carmelo, con suo figlio Salvo (nella foto a sinistra accanto a papà, ndc), sempre imbarcato con lui e potenziale quarta generazione se si dovesse riuscire a garantire il futuro lavorativo di questa categoria – per fare la circuizione oggi ci vogliono dai 35 ai 50 mila euro. Ciò solo per dotarsi della quantità adeguata di reti. Noi tra le altre utilizziamo una rete che ha almeno 40 anni, eredità di mio padre: è lunga fra i 150 ed i 200 metri per 30 metri di larghezza. La nostra “vecchia” rete non è stata immune dal contatto con i delfini e dal maltempo, specie negli ultimi due anni: abbiamo chiesto, come successo con la Regione Sardegna in casi analoghi, che ci risarcissero dei danni, ma la Regione Sicilia è sempre stata sorda a queste sollecitazioni».
È soltanto una delle prime rivendicazioni che ricorre in una delle tante nottate di pesca per niente scontate: «Partiamo – prosegue Costanzo – sapendo con certezza che consumeremo almeno 200-250 litri di carburante (almeno 450 euro di spesa), senza la garanzia di tornare con un pescato adeguato a garantirci un guadagno. In barca siamo in 10-12, tutte famiglie la cui sopravvivenza dipende dal mare».
La barca del “Solitario” è lunga circa 15 metri. La prima licenza risale al 1983 ed è intestata al papà Salvatore, che tutti conoscono però come “Zu Turi”. Rimodernata nel 2003, da sempre occupa la stessa postazione: «La partenza da qualche anno presenta sempre gli stessi problemi di manovra – racconta – per la presenza sempre più numerosa di diportisti, quindi non pescatori puri, che ormeggiano le loro barche senza considerare gli spazi necessari alle altre imbarcazioni. La nostra è prettamente di legno, quindi basta un solo brusco contatto per provocarci danni di non poco conto».
Raggiunto il mare aperto prende vita uno di quei mestieri nel quale il silenzio la fa da padrone: saranno ore di attesa, di ricerca del punto giusto in cui pescare; spesso ci vogliono ore per raggiungerlo e loro, i pescatori, non sono certo loquaci. C’è chi approfitta per recuperare le ore di sonno, mai abbastanza, sulla prora dell’imbarcazione, accarezzati da un vento piacevole, almeno finché durerà l’estate. D’inverno, invece, il lavoro è più duro, con temperature rigide per le quali non ci sono guanti o protezioni che tengano: intemperie che segnano inesorabilmente volti e mani, come nella migliore delle novelle di Verga.
«In una settimana di uscite saranno due, al massimo tre le giornate nelle quali torniamo con un pescato degno di nota», spiega il Solitario mentre si procede in una zona “buona”, ovvero dove il fondale è fra i 50 ed i 70 metri di profondità. Costanzo è guidato dall’esperienza ormai quarantennale, nonostante abbia poco più di 50 anni, oltre che dalla strumentazione di bordo: due ecoscandagli, un radar, un gps, 2 Vhs per le comunicazioni con la Capitaneria di porto e le altre imbarcazioni, un navigatore. Ma è l’esperienza l’arma migliore di ogni buon pescatore: «Difficile trovare un buon posto dove pescare nelle 10 miglia marine del Golfo di Catania – prosegue Angelo – che vanno da Ognina a Brucoli. La realtà è che dei tanti tipi di pesca possibili ne restano pochi attuabili senza il rischio di incorrere in sanzioni e sequestro di strumentazione ed imbarcazione: dal 1990 hanno vietato la pesca a strascico, quella che lambisce i fondali e permette ad esempio di pescare i gamberi. Qualcuno la effettua lo stesso a suo rischio e pericolo, forse servirebbe maggior controllo. Non possiamo pescare tonno e pesce spada, a Catania solo una imbarcazione ha diritto ad una “quota tonno”; è vietato il “neonato” meglio noto come “u muccu”, i pesci piccoli in genere come le triglie. Anche in questo caso qualcuno rischia, ma per necessità».
Probabilmente per questo i divieti ormai quasi trentennali di pesca non hanno dato i risultati sperati. O così pare. «L’esperienza ci dice che sul fondale del golfo di Catania esistono molti relitti che risalgono anche alla seconda guerra mondiale – racconta ancora Costanzo – e proprio lì i pesci proliferano. Ci sono almeno una quarantina di aerei, due navi a circa 1-2 miglia dal porto, una paranza di almeno un secolo fa, ancore, zattere, qualche piccola imbarcazione. Punti che noi pescatori esperti conosciamo bene e nei quali i pesci abbondano. Ma punti anche in cui gli stessi pesci sono sempre più presi di mira dai sommozzatori, i quali rovinano in qualche modo un ecosistema che si era creato e che ben conoscevamo».
Si procede, mai oltre le 6 miglia marine dalla costa, dove non c’è fondale utile, dai 70-80 metri in giù si potrebbe utilizzare il “palangaro” per la pesca di spatole e merluzzo, per esempio, ma in pochissimi ormai lo utilizzano: arrivati nel punto “buono” si mette in mare la “barchetta” con la lampara, oggi grossi fari elettrici, ma «un tempo lanterne alimentate a gas – spiega Costanzo – con il “focaro” che provvedeva a tenerle sempre accese. Al successo di questa pesca concorrono tanti fattori: la luna che con la sua luce può far “concorrenza” alla lampara per attrarre i pesci, le correnti, le condizioni del mare».
Il pensiero del “Solitario” va a suo cugino Giovanni, inghiottito dal mare avverso circa due anni fa a Portopalo, mentre stava effettuando pesca a strascico: la barca è affondata, i due pescatori a bordo si sono salvati. Un rischio messo in preventivo per ogni pescatore che si rispetti. Si calano le reti, ogni pescatore con il suo compito: niente è scontato, il rito si compie comunque vada.
Foto di Santi ZappalàCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA