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Gela tra mare, crisi Eni e voglia di “secessione”

Gela tra mare, crisi Eni e voglia di “secessione”

Domenica il primo referendum secessionista nella Sicilia della Province in via di rottamazione. Scontato il voto per aderire al Consorzio di Catania e separarsi dagli odiati nisseni. Ma è corsa al quorum

Di Mario Barresi |

GELA – Il destino di Gela lo capirà lui. Prima di tutti gli altri. Lui: un Piepoli in bermuda, un Mannheimer abbronzatissimo, inconsapevole protagonista di un exit poll sotto l’ombrellone. Luca Alessi, socio di uno dei lidi più frequentati del lungomare, domenica potrà interpretare l’esito del primo referendum secessionista nella Sicilia delle rottamande Province. Perché in una città che domenica, dalle 9 alle 21, va alle urne per abbandonare l’odiata Caltanissetta e andarsene con Catania, il punto non è se vincerà il sì (risultato più che scontato), piuttosto se si raggiungerà il quorum della metà più uno degli aventi diritti al voto. E quindi la voglia di andare al mare – consiglio non proprio disinteressato di chi vuole che la cartina geografica resti così com’è – è il primo nemico della spinta autonomista di Gela. «Sono deluso, anzi: arrabbiato. Non ci credo, io a votare forse non ci andrò», ammette l’imprenditore balneare. Dicendosi «pronto ad accogliere tutti quelli che non ci cascano più in uno strumento democratico che ha prodotto soltanto delusioni: dal finanziamento dei partiti all’acqua pubblica». E quindi, ragiona Alessi mentre serve un cocktail in riva al mare con le ciminiere sullo sfondo, «perché stavolta dovrebbe essere diverso? », a maggior ragione in una Sicilia «con una finta riforma delle Province».

Il gestore del lido è uno dei pochi che si espone per il “nì”. Perché a Gela il plebiscito si respira nell’aria. Appena uscita (ma non del tutto) dall’incubo della munnizza in strada per una zoppicante partenza della nuova raccolta differenziata, adesso la città vive con terrore l’ipotesi di un disimpegno dell’Eni. E la crisi della Raffineria, come si nota dai cinque picchetti disseminati, è l’altra questione – serissima – che rischia di essere il cono d’ombra del voto di domenica. La situazione è esplosiva, in gioco c’è il posto di lavoro di migliaia di persone. «No, io non ne so niente. Non sono preparato sull’argomento», si trincera Gino Martello. Che ripete: «Se andiamo a prenderci un caffè io parlo di Raffineria, se vediamo i Mondiali io parlo di Raffineria. In questo momento solo Raffineria». Eppure anche fra gli operai del presidio all’ingresso dello stabilimento, mentre giocano a briscola pazza per non impazzire nell’attesa di notizie dal vertice Eni–sindacati, prevalgono le ragioni del sì. «Io lascerò il picchetto e andrò a votare con mia moglie», anticipa Francesco Barresi. Anche perché spera che «andando con Catania si potrà costituire un polo industriale più forte».

Del fatto che il futuro del petrolchimico possa essere condizionato anche dal referendum è convinto anche Raffaele Guzzardi, altro dipendente Eni, con l’aggiunta di una sottile ironia socio–antropologia: «Spezzando questo cordone ombelicale con Caltanissetta, una città borghese, di impiegati con la puzzetta sotto il naso, potremo avvicinarci a una realtà come quella catanese, con cui condividiamo una estrazione, una cultura operaia». Libri di Marx a parte, qui tutti sono convinti della bontà di questa battaglia. Anche quelli dell’upper class, come Marco Di Stefano, funzionario di banca. Giura che «i gelesi a Caltanissetta ci sono andati soltanto per fare i certificati, perché il legame economico e culturale è da sempre con l’area catanese» e auspica che «finalmente si possa rideterminare dal basso una secolare imposizione dall’alto».

Musica per le orecchie dei promotori del referendum. Il battagliero “Comitato per lo sviluppo dell’area gelese”, a cui hanno aderito 49 associazioni e centinaia di cittadini. Il trascinatore degli scissionisti è un giovane falegname, Filippo Franzone. Il comitato – del tutto autofinanziato, senza chiedere un centesimo di fondi a enti pubblici – è riuscito laddove tutti gli altri, soprattutto i politici, hanno fallito: mettere Gela con le spalle al muro, con noi o contro di noi; arrivare a un voto storico, salutato da fiumi di lacrime e champagne lo scorso 28 maggio quando il consiglio comunale, con 26 voti su altrettanti presenti, deliberò il via libera al referendum consultivo. E adesso la lunga pedalata è al rettilineo finale: «Dopo tante lotte questa è la prima possibilitá concreta che abbiamo di determinare il futuro dei nostri figli», dice Franzone. Che è ottimista: «Vedo ogni giorno tanta gente entusiasta e a tutti dico che se ciascuno regalerà a se stesso ed ai propri figli cinque minuti della sua estate, riusciremo a centrare un obiettivo storico». In effetti il lavoro del comitato è a tappeto. Mercati, spiagge, Raffineria, piazze, bar. Non c’è un posto dove non tappezzato da manifesti. Che sono finiti pure nelle bacheche delle chiese, con gli evangelisti a organizzare addirittura una preghiera ad hoc.

E la politica? Tutti per il sì, ufficialmente. Anche se costretti a rincorrere il comitato su tempi che non si prevedevano così rapidi. Tant’è che il sindaco Angelo Fasulo, che all’inizio sosteneva l’idea di istituire un Libero consorzio, adesso sta coi referendari, «la sola risposta possibile ad una Legge regionale confusionaria e confezionata ad arte per impedire la formazione di nuovi liberi consorzi» e invita i cittadini a votare per «non farci scippare il nostro futuro». I partiti sono tutti in campo. Qualche distinguo c’è. Nel Pd, ad esempio, il deputato regionale Giuseppe Arancio, cug o del potente leader Lillo Speziale: «Non andrò al mare, ma alle urne per rispettare la volontà dei gelesi – precisa – anche se continuo a pensare che restino criticità in una decisione assunta in modo frettoloso, che non mi convince del tutto». Anche Gioacchino Pellitteri, preside del liceo classico “Eschilo”, ex senatore di Forza Italia oggi consigliere comunale indipendente nel centrosinistra, cita un adagio popolare: cu lassa a vecchia ‘ppa nova, cchiu malannu trova. Lui che è di Milena («ma Gela mi ha adottato da 26 anni e votato») avrebbe voluto «che questa battaglia di autonomia l’avessimo combattuta dall’interno, perché l’orgoglio dei gelesi poteva avere la meglio». Ma in consiglio ha votato sì al referendum, «perché il popolo vuole questo». Anche i grillini fanno volantinaggio in spiaggia: sostegno chiaro alla secessione. Anche se qualcuno sostiene che un gruppo dei 5 stelle gelesi, quello più legato al nisseno Giancarlo Cancelleri, sia un po’ più tiepido.

Lo stesso motivo per cui, sussurrano a Gela, anche Rosario Crocetta se la fa alla larga. «Sono il presidente della Regione e di tutti i siciliani, non è corretto che io prenda una posizione», ha detto lunedì nel corso di una visita–lampo in città. I suoi fedelissimi, a partire dal capogruppo consiliare del Megafono, Gaetano Trainito, sono impegnati a favore del sì. Ma “Saro”, dicono dal cerchio magico gelese, sarebbe volutamente disinteressato anche per «non inimicarsi i grillini di Cancelleri, perché con tutto quello che succede col Pd è sempre meglio avere meno nemici possibili». Ma andrà a votare, Rosario Crocetta da Gela? Questo è l’interrogativo, questa sarà una delle notizie di domenica. Perché lui al mare ci può andare anche restando a Tusa. «Ma se viene qui – dicono i suoi concittadini – al referendum ci deve votare, se non lo fa è un affronto alla sua città». Che conta le ore che la separano dal verdetto finale. Sognando di andare con Catania, forse un salto nel buio. Ma vuoi mettere, la soddisfazione di fare marameo ai nisseni, salendo sull’autobus – seppur sgangherato e dal capolinea incerto – della storia? twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA