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La “cacciata” dei quattro ribelli del M5S all’Ars: «Regole violate»

Di Mario Barresi |

Siamo ai titoli di coda. Le strade dei deputati regionali Angela Foti (vicepresidente dell’Ars), Matteo Mangiacavallo, Elena Pagana e Valentina Palmeri, dopo l’espulsione di Sergio Tancredi, si divideranno per sempre da quelle degli altri 15 del gruppo. Un divorzio ufficiale, in un modo o nell’altro, dopo una lunga convivenza da separati in casa nelle stanze di Palazzo dei Normanni. La ragione ufficiale dell’epurazione, al netto di eventuali ricorsi, è che i quattro si sono astenuti nello scrutinio finale sulla finanziaria (Tancredi si espresse addirittura a favore) del governo regionale, «in difformità con le indicazioni del gruppo» che invece votò contro.

Ma la faida pentastellata alla Regione (e la prospettiva di un gruppo lealista di “diversamente grillini”, anticipata da La Sicilia) hanno radici ben più profonde. Che risalgono a contrasti mai sanati – ed enfatizzati dopo la promozione di Giancarlo Cancelleri, leader carismatico dal 2012, a viceministro – sul tipo di opposizione all’Ars: da una parte gli ortodossi del no a oltranza al governo di Nello Musumeci, dall’altra i collaborazionisti del «votiamo in base al merito delle questioni». Il primo punto di caduta irreversibile è l’elezione di Foti a vicepresidente dell’Ars, proprio al posto di Cancelleri, con i voti del centrodestra (all’insaputa della diretta interessata?), contro la scelta del gruppo m5s che sostiene Francesco Cappello.

La seconda vicenda, ancor più dolorosa perché relativa a questioni personali, riguarda proprio il già epurato Tancredi. «Abbiamo preso un compagno di squadra e lo abbiamo pugnalato colpendolo proprio nel suo punto debole», è il duro giudizio espresso da Foti, Mangiacavallo, Pagana e Palmeri in un post su Fb di qualche giorno fa. Il riferimento è all’espulsione di Tancredi, che non hai mai nascosto «il rapporto di reciproca stima con il presidente Musumeci», motivato dal mancato rimborso delle indennità.

I quattro parlano di «difficoltà» del collega per il pignoramento dei conti correnti dovuto a un risarcimento danni per una causa di diffamazione vinta da Antonio Venturino, ex vicepresidente grillino dell’Ars nella scorsa legislatura, anch’esso cacciato. I quattro lealisti accusano gli altri di tradimento dell’«amico Sergio» in un momento di bisogno. Ma è proprio Cancelleri a rintuzzarli: «Mi sono fatto garante per Sergio, chiedendogli di avviare un piano di rientro e presentare la rendicontazione, facendo ricorso contro l’espulsione. Ma non ha fatto nessuna delle tre cose, quindi mi sembra chiaro che non avesse intenzione di restare, così come è altrettanto scontato che anche gli altri quattro, cadendo nella tela del ragno musumeciano, sono già pronti da tempo per formare un loro gruppo. È inutile – scandisce il viceministro – che ci prendiamo in giro: non vedono l’ora di essere cacciati per farsi i fatti loro. E il tempo ci dirà tutta la verità».

E adesso anche l’eurodeputato Dino Giarrusso rompe il ghiaccio «su vicende regionali su cui non mi sono mai espresso», dopo aver «ricevuto centinaia di segnalazioni di attivisti». Il caso dell’Ars, per Giarrusso, «dispiaciuto per la stima che ho di alcuni dei quattro», dimostra che «non vale il dogma per cui i vecchi sono più grillini e i nuovi meno grillini», ma semmai è la prova che il M5S ha bisogno di «più responsabilità dei singoli» e soprattutto di «regole che valgano sempre per tutti», come quella su chi vota contro le indicazioni del gruppo, «palesemente violata, senza alcuna conseguenza, anche a Bruxelles». E ora «qualcuno, a fronte di questi eventi che ci fanno solo male, dovrebbe farsi un esame di coscienza».

Ma l’epicentro dei veleni è a Palermo. Ieri il capogruppo Pasqua ha inviato una glaciale mail ai ribelli sul post critico (oggetto di una riunione, lunedì, alla quale i quattro non hanno partecipato) chiedendo «di fornire al resto del Gruppo cortese chiarimento in merito, nel più breve tempo possibile», e cioè «se, stando a quanto quanto si desume dal Vostro scritto, procederete alla fuoriuscita dal Gruppo parlamentare M5S e la costituzione di un nuovo gruppo oppure no». È il preavviso di sfratto, 24 ore prima. «Visto il tono formale poteva anche mandarci una Pec», la reazione stizzita dei destinatari, che non hanno però risposto alla mail. «Quel post non era un annuncio d’addio – dice Foti a La Sicilia – ma un estremo tentativo di aprire un dialogo sui temi concreti, che c’è sempre stato negato. Ci accusano di esserci astenuti sulla finanziaria? Quello non era un segnale a Musumeci, ma un messaggio al nostro gruppo, impegnato ad amoreggiare col Pd e con il lato oscuro della maggioranza per ben altre marchette». Foti difende Tancredi, «oggetto di un trattamento disumano». E ributta la palla (avvelenata) sul campo di Cancelleri: «Ci dispiace che perda il suo prezioso tempo da viceministro per darci lezioncine, ma fu proprio lui, e proprio su “La Sicilia”, a lanciare il patto “due fogli e una penna” che Musumeci rifiutò. Quando lo diceva lui era uno stratega, ora noi siamo stampelle in cerca di assessorati e sottogoverno…».

La vicepresidente dell’Ars, ormai consapevole di un destino segnato, critica anche Pasqua, «un capogruppo dequalificato» e i tanti «indecisi» del gruppo, che «magari sulla linea politica la pensano come noi, ma stanno zitti». Non pronuncia mai la parola «espulsione» e rilancia la «sfida delle riforme che sono nel nostro programma». Ma con chi? Nell’ormai scontato gruppo dei “diversamente grillini”? «Certo che se ci cacciano, non ce ne andiamo nel gruppo misto con Fava».

E oggi il gran finale. Scontato.

Il comunicato

“Sulla spaccatura all’interno del gruppo parlamentare M5S all’Ars è doveroso fare chiarezza, non fosse altro perché lo dobbiamo a chi ci segue o ci ha votato e perché una sola campana produce spesso solamente note stonate”. Così i 15 deputati pentastellati dell’Ars dopo l’espulsione dei quattro loro “colleghi” Foti, Mangiacavallo, Pagana e Palmeri. “Prediamo atto che per loro – dicono – è venuto meno, per usare parole loro, il desiderio di far parte del gruppo Cinquestelle. Bene, anzi male, anche se per la verità i segnali in questo senso si protraggono ormai da tantissimo tempo, persino nelle votazioni in aula, quando i cinque (ai quattro di sopra va aggiunto Tancredi) si sono espressi in dissenso col gruppo, astenendosi o addirittura votando assieme a quel governo Musumeci, con cui il M5S non ha nulla a che spartire”.

I pentastellati sottolineano che “non si trattava di votazioni confezionate su dei ‘no’ a prescindere, come i 5 deputati vogliono far credere”. E aggiungono: “Nella vita, si può cambiare idea e, chi vuole, anche partito ma si deve avere l’onestà intellettuale di riconoscerlo, senza appigliarsi a scuse o, addirittura, cercare di rigirare la frittata, accusando noi di ‘goffi tentativi di imitazione dei partiti che prima ci proponevamo di smantellarè. Al limite è forse vero il contrario, se è vero come è vero che pubblicamente, e senza tanti giri di parole, Angela Foti, eletta vicepresidente dell’Ars, a suo dire a propria insaputa, nei giorni scorsi arrivava a scrivere a Musumeci in un post che in parlamento i voti li avrebbe trovati, prospettando al presidente della Regione una comoda e solida stampella cui appoggiarsi nei momenti tribolati a Sala d’Ercole”. E concludono: “Le nostre battaglie continuano, con immutata passione e grandissimo impegno, i nostri attivisti stiano tranquilli”.

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