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Pd siciliano nel caos, si gioca a “Chi vuol essere presidente?”

Di Mario Barresi |

CATANIA – I tempi della sua partecipazione giovanile a “La ruota della fortuna” sono lontani. Eppure oggi ci vorrebbe tutta la capacità (ma, forse, prima ancora la volontà) del Matteo Renzi giocatore di quiz. Quello che tiene banco, nell’appiccicosa estate della politica siciliana, è “Chi vuol essere presidente?”. In palio c’è la poltrona di governatore della Sicilia, con tanti aspiranti ma nessun candidato.

  Per la verità ci sarebbe sempre «il migliore dei candidati possibili». Piero Grasso, ormai poco più di un “miraggio” per i dem siciliani. Matteo Orfini, fino a sabato, da Siracusa ha ribadito che «dobbiamo fare di tutto per creare le condizioni che consentano al presidente Grasso di candidarsi».

Pietro Grasso   

Ma sembra una tecnica per prendere tempo, in assenza di un piano B all’altezza. Non ci crede più nessuno, a Roma. Ieri Grasso ha inaugurato un comitato per la riforma del regolamento di Palazzo Madama, «progetto che prevede qualche mese di lavoro»; una delle tante ragioni per le quali le persone più vicine a lui lo descrivono «molto concentrato sul Senato».

  Da altre fonti romane si percepisce che sul diradarsi della corte (all’inizio serratissima) a Grasso abbia influito una mutazione mood dello stesso Renzi: dapprima favorevolmente stupito dal consenso sulla «pazza idea» e poi via via sempre più sospettoso per l’eccesso di entusiasmo del suo partito per un potenziale candidato prestigioso ma non allineato. Sì, perché Grasso sarebbe un “Papa nero” tanto per il centrosinistra siciliano quanto per il Nazareno, che non dimentica la matrice bersaniana. Eppure fra i suoi fedelissimi c’è qualcuno pronto a giurare che «Matteo è un realista concittadino di Machiavelli» e dunque «pur di vincere in Sicilia farebbe di tutto». Compreso un ultimo tentativo per convincere il presidente del Senato. «Ci siamo dati qualche giorno di tempo – diceva sabato, a taccuini ben lontani, Orfini – ma la prossima settimana (questa, ndr) si deve chiudere. Con o senza Grasso».

  È il «senza» che apre una voragine. Riempita dal lancio dei nomi più o meno a casaccio. Ieri è venuto fuori quello di Caterina Chinnici, eurodeputata super-votata e dal profilo vicino al «simil Grasso» evocato da Leoluca Orlando, fino a ipotizzare un consiglio da parte del Grasso originale. «Un nome di fantasia», invece, per molti dem siciliani che rimarcano come l’ex assessora di Raffaele Lombardo sia «sparita dopo l’elezione a Bruxelles».

  E allora in molti aspettano di vedere cosa Orlando tirerà fuori dal cilindro. Il sindaco ha convocato per lunedì prossimo i partiti e i movimenti (anche) per riproporre il “modello Palermo” per le Regionali. Non dovrebbero esserci, a meno di ripensamenti, gli alfaniani di Ap e i Centristi. Da questo fronte si apprende l’intenzione di «aspettare un altro po’ il Pd, ma non all’infinito». Qualche risposta sempre lunedì (ma di pomeriggio, dopo aver capito le mosse di Orlando) a Catania la darà Pierferdinando Casini. «Il centrosinistra che ha eletto Crocetta, in Sicilia, non esiste più», scandisce il segretario siciliano dei Centristi, Adriano Frinchi.

Leoluca Orlando

 

Alla sagra dell’orlandismo presenti invece gli esponenti di Art. 1-Mdp, che a Enna hanno concordato insieme con Sinistra Italiana «un percorso unitario per la sinistra siciliana in vista delle Regionali».

  E a Villa Niscemi ci sarà sicuramente Totò Cardinale. Forte di un «rapporto molto buono» con Orlando, il leader di Sicilia Futura – in questi giorni di caos – sembra tenere dritta la barra. «I grillini non sono strutturati e il centrodestra, come dimostrano i risultati deludenti delle liste che dovevano fare sfracelli a Palermo, è meno temibile di quanto sembra». È ottimista l’ex sottosegretario dc: «Ci vuole una coalizione larga e un mix di esperienza e rinnovamento nelle candidature all’Ars». Il resto è matematica: la sommatoria della coalizione («che sarebbe già al 35 per cento con Pd, Sicilia Futura, sinistra, liste dei territori e del presidente») e «l’insussistenza della teoria dell’utilità marginale di Gossen» applicata alla politica siciliana». Per intenderci: «Se per vincere si deve arrivare al totale di un chilo e noi siamo a 950 grammi, non è che se chi porta i 50 grammi mancanti può pretendere di pesare per dieci volte del peso effettivo». Messaggio agli «amici moderati».

Salvatore Cardinale

  E i nomi? Cardinale sostiene che «finora l’unica iniziativa è stata di aspettare il grande candidato indicato da Roma». E se, come sembra probabile, non dovesse arrivare? «Ce la dobbiamo sbrigare noi e mi rifiuto di pensare che nel centrosinistra siciliano non ci siano persone all’altezza». Nomi? Lui, sornione, si limita ad ammettere di averne «in testa almeno un paio, politici e non politici». Ma «non è tempo di farli, ora». Magari lo farà Orlando il nome (Peppino Lupo, leader siciliano di AreaDem), oppure si aspetterà la profezia dell’esperto Totò. «Prima decidiamo chi ci sta. Chi è dentro e chi è fuori da un programma per risolvere i problemi dei siciliani. Poi ci sediamo e magari litigheremo. Il candidato? Quando saremo tutti più stanchi, diventeremo tutti più ragionevoli. E il nome verrà fuori in cinque minuti».

  E se quella di Cardinale fosse davvero l’exit strategy più efficace del centrosinistra siciliano? L’alternativa sarebbe tirare a sorte, magari col metodo di chi prende il bastoncino più corto, fra i capibastone del Pd. A meno che Renzi (che ieri non ha visto Fausto Raciti perché è saltata l’assemblea con i segretari regionali) non faccia il Renzi vecchia maniera. Prima di Palazzo Chigi, prima della rottamazione. Il Matteo, paffutello e occhialuto concorrente di Mike Bongiorno nel 1994. Per giocare in prima persona la partita siciliana. Che non lo appassiona, ma è decisiva. Senza ruota né palline. Solo lui, a questo punto, può dire “Chi dev’essere presidente”.

Twitter: @MarioBarresi

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