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Regione, la lettera di Armao a Tria: serve una legge “salva Sicilia”

Di Mario Barresi |

Una legge che permetta alla Sicilia di ripianare i 546 milioni del disavanzo in trent’anni anziché in tre. È questa l’exit strategy proposta dal governo regionale, con una lettera di Gaetano Armao al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, legato all’assessore da «un rapporto di reciproca stima» al di là dei ruoli istituzionali.

La soluzione prospettata dall’esecutivo di Nello Musumeci è l’uovo di Colombo. Talmente necessaria da sembrare scontata. Eppure la novità è che l’assessore all’Economia l’ha ufficialmente proposta al governo nazionale. Nella nota a Tria, Armao chiede «ai fini del mantenimento degli equilibri di bilancio», ma anche per «scongiurare il mancato esercizio delle proprie funzioni essenziali», un «intervento normativo», da «inserire nella prima finestra legislativa utile». Eccola, la norma “salva Sicilia”. Che, per l’appunto, altro non è che la modifica del comma 874 dell’articolo dell’ultima legge di bilancio nazionale.

«Il presente emendamento, privo di refluenze per il bilancio dello Stato, tende a raggiungere l’obiettivo – scrive il vicepresidente nella relazione allegata – di una programmazione trentennale del riparto del maggior disavanzo relativo al 2017 causato da motivi diversi da quelli contenuti nel comma 874 (carenza dei presupposti giuridici dei crediti e dei debiti relativi alla Programmazione 2007/13, derivanti da assegnazioni dello Stato e dell’Unione europea e dei crediti tributari contabilizzati come “accertati e riscossi” entro l’esercizio 2002 a seguito di comunicazione dei competenti uffici dello Stato, non effettivamente versati), liberando così significative risorse per investimenti con funzione anticongiunturale e di sostegno all’economia, sopratutto nelle aree a sviluppo ritardato».

Anche perché, ammette l’assessore nella comunicazione al ministro, citando il documento sottoposto dalla giunta regionale alla commissione Bilancio dell’Ars., emerge «l’ingente impegno finanziario destinato alla copertura del pregresso disavanzo» che «determina gravissimi effetti sui servizi ed arreca un serio pregiudizio per lo svolgimento di talune funzioni essenziali di competenza di questa Regione». Pur avendo considerando «ripianati nell’esercizio 2018 con la legge regionale di assestamento n. 21 del 29 novembre» i prumi 164 milioni del debito ereditato dal precedente esecutivo («essendosi il governo Musumeci insediato soltanto l’1 dicembre 2017», precisa Armao), c’è il pesante fardello del resto dei soldi da restituire a Roma. E dunque, ricostruisce Armao, è emersa «la necessità di presentare una nota di variazione al disegno di legge di bilancio della Regione per l’anno finanziario 2019 e per il triennio 2019-2021 che prevede la destinazione di circa 244 milioni di euro quale copertura del disavanzo ereditato dalle precedenti gestioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020».

Quindi la richiesta, con allegato lo schema di emendamento, di una norma (utile non soltanto, ma soprattutto, alla Regione Siciliana) che «consenta un ripianamento trentennale del maggior disavanzo relativo all’anno 2017 causato da motivi diversi da quelli contenuti nel citato comma 874 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145». Ed è questa, per il vicepresidente Armao, l’unica strada possibile. «Soltanto attraverso tale ripianamento – scrive al ministro Tria – potranno essere assicurati prestazioni e servizi essenziali ed attività incomprimibili legate al pagamento di stipendi di enti e società partecipate o sottoposte a sostegno finanziario, come già emerso nell’acceso dibattito parlamentare e nell’opinione pubblica, e ciò anche alle luce delle tendenze dell’economia regionale».

Il problema c’è. Ed è grave. Ma c’è anche la soluzione. Che rispecchia il modello adottato per 1,6 miliardi circa già diluiti in comode rate su un trentennio, a costo zero per lo Stato.

Adesso, al di là del rapporto positivo instaurato da Musumeci e Armao con Tria, è questione di volontà politica. Il punto, però, non chi deve intestarsi la paternità di una leggina “salva Sicilia”. Ma di chi sarebbe la responsabilità semmai la norma dovesse abortire.

Twitter: @MarioBarresi

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