Il personaggio
Alessandro Scelfo, un rotariano d’altri tempi: «Se non si cambia si rischia di rimanere fuori»
L'imprenditore siciliano: «La mia vita è stata legata sempre a questa associazione che per me è stata una scuola di vita e di formazione, molto di più di quanto lo possa essere per una persona adulta»
«Nel 1956 il Rotary era composto da 320 persone, io di quei tempi sono rimasto l’unico vivo. Sono il rotariano più anziano, almeno come iscrizione al club». Una storia bellissima, che ti fa sentire da una parte il sacrificio e la passione di chi ha lavorato per tutta la vita con spirito di abnegazione e dall’altra l’amore di chi si è sempre speso per gli altri.
È la storia del cavaliere Alessandro Scelfo, imprenditore siciliano cresciuto a pane, mobilità e soprattutto Rotary del cui club è entrato a far parte a 22 anni, dopo la scomparsa del padre. Uno dei più giovani a farne parte negli anni ’50, quando l’età media si aggirava intorno ai 60 anni. «Ero un ragazzino quando diventai un rotariano, mi ricordo che davo del lei a tutti per educazione. La mia vita è stata legata sempre a questa associazione che per me è stata una scuola di vita e di formazione, molto di più di quanto lo possa essere per una persona adulta. Ho imparato a relazionarmi con gli altri, a presentarmi a parlare. Da allora ad oggi il mondo è cambiato completamente. Uno dei più grandi difetti che vedo nei comportamenti delle persone è la mancata percezione della dinamica delle cose. Noi siamo portati a vedere situazioni statiche, mentre tutto cambia. Cambiamo le persone, le culture, il modo di pensare e anche la stessa ricchezza si sposta da una persona all’altra. Chi era ricco ad esempio 50 anni fa, oggi magari non lo è più. Ecco perché bisogna essere dinamici, a prescindere da qualsiasi attività si svolga, perché se non si cambia si rischia di rimanere fuori».
Lei parla dell’importanza dei cambiamenti, ma sia da rotariano che da imprenditore c'è un periodo che ha segnato la sua storia? «Si diventa dei veri rotariani quando si ricopre l’incarico di presidente del club. Questo accade perché si è costretti a conoscere le norme, i pensieri del Rotary International, si ha a che fare con i soci e quindi ci si prepara alla leadership. Ho fatto l’esperienza di Governatore nel ‘93/94, però e mi ricordo che a quel tempo tutto era molto diverso, forse era più semplice. I vari successori hanno sempre aggiunto delle cose positive ma in modo quasi naturale. I convegni di oggi invece si presentano in maniera più completa. Durante quel periodo mi sono impegnato su diversi fronti, ma una delle cose che ricordo con più vigore è che abbiamo fatto abbassare il livello degli alberghi, per citarne uno, per far sì che il Rotary fosse più sociale. La nostra associazione prima era limitata a poche persone generalmente benestanti. Oggi fortunatamente è aperta a professionisti di altissimo livello ma che non hanno necessariamente grandi risorse economiche. Lo abbiamo reso più accessibile dal punto di vista economico. Durante gli anni in cui sono stato Governatore, inoltre abbiamo vaccinato i bambini albanesi contro l’epatite C in un ospedale di Napoli, grazie alla disponibilità di alcuni medici. Questa iniziativa fu ripetuta negli anni successivi. Bisogna fare meno iniziative ma più concrete. Il Rotary del resto sviluppa relazioni umane e senza dubbio due persone intelligenti messe insieme producono molto di più di quanto potrebbero fare se fossero separate. Lo stare insieme consente di fare squadra che non è possibile quando si è soli».
Adesso parliamo di Scelfo come imprenditore e di cosa ricorda con più coinvolgimento. «Un imprenditore che vuole camminare da solo non va avanti, tranne che coinvolge professionisti nel suo cammino e nel suo lavoro. Quando l’azienda cresce divide il suo potere di imprenditore con dei professionisti che sono dei surrogati padroni. I miei collaboratori, quelli più vicini, usano la parola “il mio” perché sentono l’azienda come se fosse loro. Noi in linea di massima lasciamo molto spazio a chi ci collabora perché siamo convinti che l’uomo ha bisogno di creare. Fissiamo un obiettivo ai nostri collaboratori che si mettono a lavorare con buona volontà e si impegnano al massimo. Se tu invece gli dici sin dal mattino, fai questo, sposta di qua o di là, alla fine andranno al manicomio. La funzione del vero imprenditore è quella di fissare degli obiettivi alla squadra e fare in modo che possano portare avanti l’azienda. Io ho avuto la fortuna di gestire un’impresa a carattere sociale, che si occupa di una parte della mobilità delle persone che non vanno con il mezzo individuale ma con il trasporto pubblico. Circa il 90% della mobilità è affidata alle macchine private, una piccola parte pubblica è fatta di autolinee, treni, aerei, navi. La mobilità privata è enorme. Il nostro obiettivo è stato sempre quello di offrire servizi vicini alla mobilità privata, ed è l’unico modo per farli andar bene. Da ben 30 anni lavora con me mia figlia, ma abbiamo anche manager molto bravi che portano avanti le loro iniziative. Nella mia attività da imprenditore ho fatto delle cose particolari. Ho abolito la cassa in primis. Mi ricordo che quando sono arrivato in azienda c’era un contabile che scriveva sempre cassa e banca, ma poi abbiamo cambiato questa cosa, del resto tutto quello che incassa l’azienda va alla banca e tutto quello che spende viene prelevato sempre dalla banca. Insomma abbiamo introdotto quello che è stato scoperto adesso: il tracciamento. E poi non so più l'amministratore dell’azienda, sono azionista mi occupo sì della ditta ma la routine la faccio condurre da altri».
Cosa si sente di dire ai giovani che hanno dei sogni, obiettivi da raggiungere e li vogliono realizzare qui nella loro terra, senza dover andare via. «Da noi c’è troppo Stato e poca impresa privata. Lo Stato va bene come Stato-Potere e non sempre funziona, ma lo Stato-Servizi invece è stato dimostrato che non va affatto. Tutte le aziende pubbliche infatti vanno male perché non si raggiunge quella produttività che si raggiunge invece nel privato. Noi che abbiamo un’azienda privata, una parte del nostro lavoro la diamo in appalto creando altre aziende, il nostro gruppo ne ha 15 che a loro volta ne trascinano altre 10 esterne. Deve esserci una certa proporzione tra impresa e lavoratori. Quando fai un’impresa di 2000 mila persone e nomini solo un solo direttore non funziona. La nostra azienda invece è suddivisa, e per ogni settore c’è un amministratore che si occupa di immobili, autobus, riparazione o informatica, materie diverse con personale specializzate su quel settore. Ecco perché è fondamentale lo studio e la formazione per i giovani, che li rende più competitivi sul mercato e bisogna offrirgli delle opportunità e lasciarli liberi di sviluppare le loro potenzialità, incentivandole».
Tra i vari progetti nel settore dei trasporti, c’è quello che riguarda Enna? «Occorre una cultura ferroviaria nel caso specifico. È necessario creare strade di collegamento dirette tra la stazione ferroviaria di Enna ed Enna bassa soprattutto il collegamento con l’Università e l’ospedale che diventerà il Policlinico, che va reso più accessibile e fruibile».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA