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L’idea vincente di Ezio, quando il fashion è ecosostenibile

Di Maria Ausilia Boemi |

Ravanusa (Agrigento) – Valorizzare le straordinarie capacità di un artigianato siciliano che, parcellizzato nelle singole realtà, non riesce a creare un brand forte che regga sul mercato internazionale. Il tutto in un’ottica di economia circolare e di riciclo che realizzi un’economia realmente sostenibile, specchio di «un’anima siciliana che rompe con i sistemi omologanti imposti dalla produzione di massa». Il sogno un po’ visionario del commercialista 34enne di Ravanusa, Ezio Lauricella, è divenuto realtà con la creazione di due brand di borse, Cum Laude e Tarì Rural Design, che hanno attirato l’attenzione internazionale. Laureato in Economia all’università di Palermo, in possesso di un master in Progettazione europea conseguito a Roma, Ezio Lauricella lavora anzitutto come commercialista, seguendo le orme paterne. Durante gli studi a Palermo, comincia però a rendersi conto che «in Sicilia abbiamo un bagaglio di competenze e bellezze incredibili, ma non riusciamo a canalizzarle verso un percorso virtuoso. Vedevo infatti – racconta – che molti artigiani nostrani, come quelli fiorentini, riuscivano a creare prodotti meravigliosi ma non avevano, a differenza dei colleghi toscani, un feedback e una esternalità positiva. Così, terminati gli studi, mi interrogai sui paradossi della società di oggi: la distruzione ambientale, lo sfruttamento del lavoro ai limiti dello schiavismo, la globalizzazione di merci e identità culturali. Decisi di non voltare le spalle ai miei principi e alla mia terra, scegliendo di restare fedele alle eccellenze e al talento dei nostri territori. Il nostro è più di un fashion brand, è un’idea sostenibile, è il sogno di una terra che non si lasci inaridire dalle logiche della globalizzazione, ma punti sulla qualità e proietti nel futuro le nostre tradizioni dando loro un appeal internazionale».

Da lì la prima idea imprenditoriale: «Ho reclutato 20-25 artigiani di eccellenza in Sicilia chiedendo loro di provare a sviluppare un nuovo contest: loro, operando in outsourcing, non correvano alcun rischio aziendale; noi, accomunando queste eccellenze, davamo al prodotto un valore aggiunto legato al prodotto in sé e alla sua storia». Nasce così nel 2013 Cum Laude, marchio di borse in pelle e kimono giapponesi in seta degli anni ’60 ricamati a mano: «Ogni kimono era diviso in 20 pezzi inseriti in 20 borse in edizione limitata e non replicabili». L’idea piace e porta il marchio alla ribalta internazionale: Lauricella viene così selezionato nel 2014 dalla rivista Usa “Wired” tra i manager under 35 più promettenti d’Italia e premiato dalla Camera di Commercio per essersi distinto in innovazione e internazionalizzazione. Nel 2016, parallelamente a questo marchio, Ezio Lauricella decide di crearne un altro: Tarì Rural Design. «Il tarì – spiega – era la moneta del Regno delle due Sicilie, nome scelto in memoria di un’Isola che non c’era più e che ai tempi aveva scelto il modernismo; Rural Design perché volevo creare una liason tra l’artigianato e il comparto agricolo. Per il lancio della prima collezione di borse, abbiamo regalato ad alcune aziende siciliane sacchi di canapa per la raccolta delle olive. Dopo averli usati, ce li hanno restituiti e con questi, dopo averli sterilizzati, abbiamo creato borse in edizione limitata». Ed è un altro successo: Lauricella attira l’interesse delle maggiori testate giornalistiche nazionali ed internazionali e Vogue Italia lo inserisce, per l’originalità e il valore etico, tra gli stili dell’estate 2016 con mostri sacri della moda.

Federica Pellegrini con una borsa del brand Tarì

«Oggi – sottolinea Lauricella – anche chi parla di ecosostenibilità fondamentalmente lo fa per seguire logiche di mercato o la sensibilità del consumatore. La nostra è invece un’ecosostenibilità legata all’economia circolare e quindi al riciclo creativo di ciò che già esiste. Con Tarì Rural Design utilizziamo teli di iuta e pelli da ritagli delle grandi griffe della moda senza impatto ambientale, perché non vanno al macero come previsto e, non essendo bruciati, non inquinano». Economia circolare, quindi, ma rigorosamente made in Italy: «Noi andiamo realmente a valorizzare col brand l’artigianato siciliano perché riusciamo a dare un valore aggiunto ai prodotti. Con Cum Laude lo facciamo con pelli e kimono giapponesi in seta degli anni ’60 ricamati a mano, mentre con Tarì utilizziamo il riciclo mettendo insieme, in maniera virtuosa, pelli pregiate – sempre di scarti di lavorazione – e sacchi di canapa, stoffe particolari, ricami o pizzi antichi, riproducendo antiche maioliche su tessuti e pelli. Tarì, insomma, è il ricordo di un luogo sospeso nel tempo in perfetta armonia coi valori di un’eredità contadina ingegnosa e laboriosa». È insomma solo l’eccellenza rinomata che consente di stare sul mercato globale, puntando sulla qualità invece che sulla quantità. Il che consente di competere nei prezzi (dai 350 ai 1.500 euro per una borsa) anche con le grandi griffe. E porta il brand a cercare di posizionarsi su mercati più maturi: «Siamo stati recentemente a un evento organizzato da Intesa San Paolo con la Camera di commercio di Hong Kong e Pechino. Hanno chiamato 6 aziende del fashion in Italia (del Sud solo noi) ed è stato evidente l’appeal che noi italiani esercitiamo sulla Cina. A noi serve un cliente intelligente e sensibile che trova il valore aggiunto della borsa nella lavorazione, nei pellami utilizzati e non nell’alone di fascino di campagne pubblicitarie milionarie». Un progetto che non si ferma alla moda: Ezio Lauricella ha intenzione di allargarlo ad altri settori, «come il food ad esempio. Il mio progetto è riuscire a valorizzare tutto ciò che mi circonda». Nel frattempo, libero da rimpianti, si gode la soddisfazione di un cuore giovane capace «di non credere a quello che ti dicono, perché spesso le persone più grandi tarpano le ali ai giovani dicendo loro: “Lascia stare, molti hanno tentato e nessuno ce l’ha fatta” oppure “Questo non è un territorio aperto a innovazioni”. La mia soddisfazione è dunque non avere lasciato stare quando mi hanno detto di farlo».

Perché fare l’imprenditore in Sicilia è più difficile che altrove «se come tutti vuoi giocare sulla quantità, perché paradossalmente in Sicilia siamo più fortunati degli altri in quanto abbiamo a disposizione un prodotto di qualità». Non per nulla, i maggiori ostacoli, al di là di quelli logistici e infrastrutturali, per Lauricella sono «di natura culturale: avremmo bisogno di un po’ di coraggio in più». Nonostante questo, nessuna intenzione di lasciare la Sicilia: «Spero – sottolinea – di essere un piccolo ingranaggio di una Sicilia che funzioni meglio, che dia più spazio ai giovani valorizzandoli, di una Sicilia ripulita dalle vecchie incrostazioni». Per fare ciò, «alcune persone dovrebbero prendere atto che ormai il mondo gira a mille e loro hanno sempre girato a 50: ma oggi il mercato è troppo competitivo e occorre alzare l’asticella della velocità». Per valorizzare una Sicilia in cui, per Lauricella, «quasi tutto è un pregio: l’eccellenza, la qualità dei prodotti, il clima, la nostra capacità di avere più fantasia, più estro nel superare gli ostacoli».

Ai giovani suoi coetanei, Lauricella consiglia tuttavia «di andare via inizialmente, fare nuove esperienze, studiare, conoscere le lingue, fare una breve esperienza fuori per tornare poi subito nell’Isola e iniziare, con il materiale a disposizione, a operare. Qui abbiamo tanto da sfruttare, ma tante volte i siciliani non sanno fare squadra e collaborare».

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