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La Sicilia secondo me
Pietro La Torre, storia di uno chef emigrato al contrario: dalla Puglia, alla Germania e poi a Canicattì
La sua prima "brigata di cucina" è stata in famiglia, accanto al papà Vincenzo
«Eravamo nove figli; una famiglia povera, che ha conosciuto i problemi dell’emigrazione e che ancora oggi ne paga il prezzo. Ho cognate portoghesi, napoletane… Con loro è persino difficile vedersi, incontrarsi. I figli di un mio fratello li ho conosciuti soltanto dopo 40 anni. Il periodo vissuto in Germania purtroppo ha sparpagliato la nostra famiglia».
Pietro La Torre oggi è un uomo affermato. La sua azienda di catering è ai vertici e il suo ristorante “Aquanova”, a Canicattì, un punto di riferimento nella ristorazione. La sua “America” l’ha realizzata in Sicilia.C’è però, in lui, oggi un desiderio legittimo che è anche necessità: voltarsi indietro. Sarà, forse, l’età – poco più di 60 anni – che è quella che spesso induce a fare i primi veri bilanci della propria vita. Girarsi per prendere coscienza di quello che è già stato, di quello che si è ottenuto e – ahinoi – di quello che si è perso. Pure di quello che sarà, ovviamente. Ma è il bilancio a prevalere sugli obiettivi che, comunque, ci sono e restano sempre – per fortuna ma anche per indole – all’orizzonte.
Non è stata una vita facile quella di Pietro. Mai. Sin da quando, ad appena 5 anni, nel 1966, si trasferisce dalla Puglia in Germania, nella zona della Foresta Nera per stare insieme al padre, carpentiere, emigrato già da qualche anno.E’ una storia che accomuna milioni di italiani emigrati per poter lavorare. Pugliesi, siciliani, calabresi, campani… Tutti partiti con un sogno e una speranza nel cuore. Lavorare dignitosamente e non dover vivere fra gli stenti di un’Italia ancora povera nonostante il boom. Nella storia di quel bambino di nome Pietro c’è anche quella di centinaia di migliaia di altri bambini partiti con i loro genitori verso una terra che si sarebbe rivelata come quella del duro lavoro e della fatica prima, molto prima, che quella della vera realizzazione.«Papà Vincenzo – spiega lo chef La Torre – in casa cucinava per tutti. Perché lui tornava a casa prima di mia madre. E così io, il più piccolo di tutti, lo osservavo. Ero il suo… aiutante della mia prima “brigata di cucina”. Così mi è venuta la passione per la cucina. Anni di povertà, ma vissuti con le cose più belle, quelle più ricche di significato vero. A 11 anni lavoravo in una gelateria, a 13 in una pizzeria, a 14 cucinavo e per lavorare dovetti lasciare la casa dove stavo con i miei e trasferirmi in un’altra città a vivere da solo e quindi dovermi gestire in tutto».
Comincia una vita nuova: autonoma ma anche piena di incertezze.«Anni di sacrifici e tanto lavoro. Mio padre mi diede in quel momento un insegnamento che non ho mai dimenticato: “se metti soldi da parte, te li ritroverai. Se non lo farai, non troverai niente”. Seguii il suo consiglio».«A 17 anni venni in Sicilia per la prima volta – continua La Torre – mia sorella aveva conosciuto un ragazzo di Canicattì. Pensavo che la Sicilia, per come veniva descritta all’epoca, fosse tutta mafia e basta. Un giorno, in un bar, era il 1978, ebbi il primo contatto con l’ospitalità siciliana e il senso della famiglia. Un parente di mio cognato, a cui in quei giorni ero stato quasi… affidato, mi porta in un bar e mi dice: “Che prendi?”. Una cosa normale, se vogliamo, ma che mi è rimasta impressa per tutta la vita. Per la prima volta qualcuno che non fosse della mia famiglia mi offriva qualcosa. Ci ho pensato e ripensato tante volte a quella frase… E ho cambiato idea sulla Sicilia e i siciliani».
Ma sono anche i giorni dell’incontro con sua moglie.«Avevo 17 anni, conosco una ragazza, di soli 12 anni, Milena, e me ne innamoro. Era cugina di quel ragazzo che stava sposando mia sorella, oggi è mia moglie. All’epoca cominciai a venire in Sicilia sempre più spesso per vederla e un giorno sua mamma mi chiese: “Pietro, ma tu perché vieni sempre in Sicilia?” E confessai che il motivo era sua figlia. Acconsentì a questa relazione a un patto: “Basta che non me la porti via”. Così ho mantenuto la promessa, e sono diventato… canicattinese».
Due cose che differenziano i siciliani dai pugliesi e due che li accomunano.«Ci accomunano la cucina: grande, importante, con grandissima materia prima e sia di terra che di mare. E poi il fatto che siamo… terroni. Ci differenziano la cultura, che in Sicilia, dato il grande passato, è enorme e il fatto che la vostra ospitalità è maggiore. Anche se….
Anche se…?«I pugliesi nei matrimoni sono molto più… avanti, durano anche una giornata intera… E io da questo punto di vista mi sento più pugliese».
Siciliani o pugliesi: chi sono più individualisti?«Nettamente i siciliani»
E dove si mangia meglio?«Bella domanda… In tutte e due le regioni ma in Puglia la cucina è molto grassa, direi quasi unta».Un piatto che la fa riflettere.«Mi rispecchio nella pasta e patate che faceva mia mamma perché sono cresciuto con questo piatto, nella povertà».
Nella vita di Pietro La Torre le “sliding doors” sono routine. Episodi che portano davanti al bivio dove il destino imbocca una strada piuttosto che un’altra. Un incidente sul lavoro in Germania. Una licenza per aprire un ristorante avuta rocambolescamente dalla Questura; le scelte in campo lavorativo, in particolare quella del catering in cui La Torre diventa leader. E tante altre.«Nel lavoro – spiega – bisogna saper innovare. E saper investire in ogni cosa che fai come se tu facessi solo quella. Quando cominciammo coi catering sull’unico furgone riportavo indietro 15 persone… Per me è stata una evoluzione continua. Io credo che, in questo lavoro, l’identità di una persona venga dalla capacità di innovazione e creazione. Quando ti viene un momento di “crisi” e non sai cosa stai facendo, perché e come lo stai facendo, è positivo perché ti costringe a riscoprire te stesso. Quando per le cerimonie sperimentai le bancarelle, il percorso culinario, la degustazione, il pesce sfilettato, innovando ho ritrovato anche la mia identità».
Pietro La Torre marito e papà.«Il successo professionale, inevitabilmente, mi ha fatto sacrificare tanto. Ho lavorato duro, partendo molto presto. E ho fatto poco il padre. Mi sento questa colpa dentro. I miei figli infatti sono più attaccati a mia moglie, e li capisco: se stavano male o se avevano un problema avevano sempre mia moglie accanto, non me. Oggi hanno 39, 36 e 32 anni, lavorano con me nella gestione l’azienda. Vincenzo, il grande, è imprenditore molto più di me che mi sento ancora un artigiano. Io non mi chiedo mai “quanto hai incassato oggi?”, se lo fai diventa il tuo unico obiettivo».Oggi Pietro La Torre ha una filosofia di vita ben precisa: «Io ho avuto tutto dalla vita, una bella famiglia, fortuna, denaro. Credo che sia necessario ridare quel che si può alla comunità che ti ha permesso di diventare quello che sei. Il mio successo è nato qua, ora voglio ringraziare Canicattì, la mia città, con varie iniziative. Dopo “Terre d’uva”, adesso abbiamo allestito i mercatini di Natale, inaugurati venerdì scorso e che ci accompagneranno per tutto il periodo festivo. Ognuno di noi, nella propria città, deve sentirsi coinvolto in prima persona, senza demandare agli altri.Ognuno deve dare quello che può. Quando vedo una persona che soffre ripenso a me da piccolo. Al mio desiderio di una merendina, la Fiesta, che nessuno poteva comprarmi. Oggi nelle persone che hanno bisogno vedo il mio passato. Per questo penso che solo se ci mettiamo in gioco, possiamo essere davvero d’aiuto agli altri.E così dai un senso alla tua vita».