IL LIBRO
Il mistero di Antonietta, la 30enne di Mascalucia decapitata nel ’55 a Castel Gandolfo
Un parente ricostruisce in un volume i retroscena di un orribile delitto irrisolto che non ha mai avuto assassino né movente
Quando ancora il termine femminicidio non veniva usato, a Roma si consumava un delitto tremendo. Vittima una donna di 30 anni, originaria di Mascalucia, Antonietta Longo, decapitata dal suo carnefice, mai individuato. La “decapitata di Castel Gandolfo”, uccisa il 5 luglio 1955, è uno dei casi irrisolti più oscuri e orribili dell’Italia degli anni ’50. Antonietta fu trovata 5 giorni dopo sulle sponde del Lago Albano e il suo corpo riposa oggi al cimitero di Mascalucia.
L’autopsia, oltre a rivelare una morte violenta, fece emergere un altro particolare importante: sul corpo di Antonietta c’erano le tracce di un aborto recente. Di chi era il figlio che portava in grembo? Del suo datore di lavoro (la donna prestava servizio presso la casa del dottor Cesare Gasparri, funzionario del Ministero dell’Agricoltura, nel quartiere Africano di Roma)? Di un altro uomo magari sposato che preferì disfarsi del bambino prima e poi di lei? Oppure di una truffa, iniziata con una promessa di matrimonio e terminata con un cadavere nudo e senza testa, trafitto da 13 coltellate, il pube mutilato e coperto da un paio di pagine del Messaggero (ecco come è stata rinvenuta).
Ninetta, come la chiamavano in famiglia, era scomparsa dal 1° luglio: aveva lasciato la casa signorile dove prestava servizio e fatto una telefonata dal bar a un certo Antonio. Forse aveva dormito da lui, il fidanzato segreto. Nei giorni precedenti aveva ritirato tutti i suoi risparmi dall’ufficio postale (231 mila lire), acquistato un vestitino blu, lasciato due valigie contenenti abiti e biancheria intima al deposito bagagli della stazione Termini, come in vista di un viaggio. A distanza di 67 anni, Giuseppe Reina, parente di Antonietta, scrive un libro (pubblicato da Algra Editore), “Io sono Antonietta”, dove ripercorre la vicenda umana della prozia paterna, vicenda che all’epoca ebbe un enorme clamore mediatico.
L'impianto narrativo si basa sull'ipotesi (inedita) che la scena del delitto non fosse altro che una gigantesca messinscena ricostruita ad arte, funzionale a depistare le indagini, a non far emergere la verità per proteggere qualcuno. Il caso, infatti, fu presto archiviato senza processo e non si riuscì a stabilire mai né il movente né l'assassino. Corredato da un ricco portfolio con foto inedite ed esclusive appartenenti ai familiari di Antonietta, il libro non si sofferma solo sulla fredda cronistoria giornalistica, ma esamina anche i risvolti psicologici dei vari “attori”, mettendone in luce il lato umano e, talora, quello più spregevole e ambiguo.
«Antonietta Longo è una donna che, prima di essere uccisa nel corpo, è stata ammazzata nell’anima, nel suo essere persona – scrive nella prefazione Giuseppe Pollicelli, giornalista e regista cinematografico – E del resto Reina lascia intendere come la fine agghiacciante della zia, l’oltraggio ignobile inferto al suo corpo, altro non è che un corollario degli oltraggi morali subiti in precedenza». «Nella stesura del libro – spiega Reina – il mio “jolly” è stato papà Orazio, nipote di primo grado di Antonietta, ultimo testimone vivente della storia, il quale mi ha instradato e messo al corrente di dettagli e ricordi personali. Fu grazie a lui che si poté dare un nome ai poveri resti della decapitata».
La testa infatti non fu trovata, l’assassino deve averla distrutta. È grazie all’orologio che Orazio Reina aveva regalato alla zia, trovato al polso, che lo stesso poté confermare l’identità di quel corpo. In fase di riconoscimento, infatti, gli inquirenti brancolavano nel buio, ma fu l’orologio di marca Zeus, fermo alle 3.37, che la donna indossava, ad indicare la strada da seguire. Di quella marca e modello ne erano stati venduti solo 150 esemplari. Incrociando i dati delle gioiellerie con quelli delle persone scomparse si arrivò alla verità: quel corpo era di una cameriera siciliana, Antonietta Longo.
«Nella stesura del saggio – spiega ancora l’autore – mi sono avvalso della collaborazione di Francesca Calì, cara amica e attuale responsabile dell’associazione culturale Mascalucia Doc di cui sono l’editor: abbiamo escogitato, insieme, un’Antonietta che racconta, in prima persona, alcuni momenti della sua vita. Nulla di romanzato, ma episodi reali che sarebbe stato difficile descrivere senza l’aiuto di una sensibilità femminile. Il femminicidio ha origini antiche e le dinamiche sono sempre le stesse: il possesso, la gelosia, l’incapacità di accettare l’emancipazione della donna. Ma ci sono casi in cui questo tragico fenomeno s’inserisce in contesti più ampi, apparentemente lontani dal ristretto ambito familiare in cui si consuma la maggior parte delle morti, e investe la malavita, le lobby di potere, la politica come nel caso, forse, di Antonietta». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA