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A Marco Bellocchio la Palma d’oro d’onore al festival di Cannes

Il prestigioso riconoscimento annunciato oggi  è stato dato finora ad appena sei registi (tra questi Bertolucci). La consegna il 6 luglio

Di Redazione |

Marco Bellocchio, Palma d’oro d’onore al festival di Cannes 2021 (6-17 luglio), 81 anni, oltre 25 film, decine di documentari, corti, lavori per la tv, titoli nella storia del cinema dai Pugni in tasca (1965) a L’ora di religione (2002), Buongiorno notte (2003), fino all’ultimo (si fa per dire) Il Traditore (2019) su Tommaso Buscetta, ha un segreto e non ne fa mistero: «La mia vitalità».

Il prestigioso riconoscimento annunciato oggi da Cannes, un premio dato finora ad appena sei registi (tra questi Bertolucci, Varda, De Oliveira, Jodie Foster che lo avrà il 6 luglio), lo gratifica è ovvio, «ma non mi sto buttando nel Tevere». Finirà piuttosto «negli scaffali della libreria accanto al Leone d’oro, al Pardo d’oro, a 7-8 David di Donatello e tanti altri premi avuti. Non li ho mai chiesti, non mi sono mai lamentato di nulla, non mi sono disperato eppure sono sempre arrivati», dice in un incontro su zoom.

«Sono premi in rapporto alla storia, all’età. Cannes si pregia di essere il primo festival al mondo, ha questo atteggiamento di sguardo sul mondo sottolineato dai suoi riti che conosciamo, gli alberghi, la montee» aggiunge. Non è però un premio per un pensionato (chi può pensarlo conoscendolo): «Posso dire con un pizzico di presunzione che la mia vitalità, quella attuale me la sono conquistata e difesa, non l’ho fatta sbriciolare nel tempo come accade ad altri miei colleghi di cui non faccio nomi.

Questa vitalità la si deve difendere e io penso di averlo fatto, per questo mi trovo a lavorare oggi ancora in modo vivace», anzi in modo «molto vivace» fanno eco con ironia l’amministratore delegato di Rai Cinema Paolo Del Brocco e il produttore esecutivo di tanti suoi film Simone Gattoni seduti accanto a lui. La Palma d’oro d’onore, che gli sarà consegnata nella serata finale di Cannes sabato 17 luglio, non lo trova certo con le mani in mano (piuttosto con i pugni in tasca per fare una battuta facile): Marco Bellocchio che venerdì 16 luglio terrà un incontro con il pubblico, porta al festival anche la sua ultima opera, un documentario, Marx può aspettare, altamente biografico, un’anteprima in Cannes Premiere, che uscirà contemporaneamente in Italia il 15 luglio, distribuito da 01 Distribution.

«E' stato un film impegnativo perchè riguarda una storia personale – spiega il regista segnato dal suicidio del fratello gemello a 29 anni, Camillo, nel 1968 – ma non è qualcosa di patetico, tragico o nostalgico. Non è affatto nostalgico anche per il mondo in cui è fatto, si parla della mia vita personale e del mio lavoro, un film assolutamente libero. Ma è anche altro: del resto se ha interessato Thierry Fremaux per presentarlo a Cannes suppongo è perchè abbia al suo interno, sentimenti, tensioni, che non riguardano solo la famiglia Bellocchio e Bobbio». Il regista piacentino, che sta andando avanti nella serie tv "Esterno notte, controcampo di Buongiorno notte e ancora sul sequestro e l’assassinio di Moro», prepara anche il nuovo film "che mi interessa moltissimo: sul sequestro di Edgardo Mortara», il bambino ebreo che nel 1858 fu allontanato dalla sua famiglia di origine per essere allevato da cattolico sotto la custodia di papa Pio IX (il progetto inseguito anche da Spielberg). Marx può aspettare si sarebbe dovuto chiamare L’Urlo «ma non rendeva lo stile che invece è leggero» . Tutto parte da una riunione familiare, dei Bellocchio superstiti al 16 dicembre 2016 . «Letizia, Pier Giorgio, Maria Luisa, Alberto ed io, Marco, le sorelle e i fratelli Bellocchio ci riunimmo, con mogli, figli e nipoti al Circolo dell’Unione a Piacenza per festeggiare vari compleanni. Io avevo organizzato il pranzo con l’idea di fare un film sulla mia famiglia, ma non avevo ancora le idee chiare.

Non sapevo che cosa volevo esattamente fare. In realtà lo scopo era un altro…Fare un film su Camillo, l’angelo, il protagonista di questa storia». Ci sarà da aspettare, dice il regista, «una riflessione sul dolore dei sopravvissuti (eravamo abbastanza sani noi fratelli per sentire dolore?), ma soprattutto sulla volontà di nascondere la verità a nostra madre, convinti che altrimenti non avrebbe sopportato la tragedia. E perciò il teatro nella tragedia. Il secondo motivo è che la morte di Camillo cade in un anno "rivoluzionario», il 1968. L’anno della contestazione, della libertà sessuale, del maggio francese, dell’invasione della Cecoslovacchia, ma tutte queste rivoluzioni passarono accanto alla vita di Camillo, non lo interessarono. «Marx può aspettare" mi disse l’ultima volta che ci incontrammo…». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA