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Tumore alla prostata, differenze “di genere” dopo la chirurgia

Di Redazione |

Milano, 21 nov. (Adnkronos Salute) – In seguito a interventi di chirurgia oncologica, esistono differenze di genere nell’accesso alle cure. Se dopo la mastectomia per un cancro al seno le donne trovano nelle Breast Unit percorsi e soluzioni dedicate, per gli uomini che subiscono un intervento chirurgico radicale per tumore alla prostata (prostatectomia) non c’è pari accesso, per ragioni normative, a soluzioni terapeutiche per affrontare effetti collaterali come la disfunzione erettile o l’incontinenza urinaria. Di ‘Diversità di genere’ e di diritti, guardando all’oggi e al futuro, si è parlato in un incontro a Milano presso l’Institute for Advancing Science di Boston Scientific. All’evento, promosso da Dbi, hanno portato la loro testimonianza pazienti, medici, direttori sanitari, istituzioni, giornalisti, associazioni di pazienti ed esponenti politici. Ogni anno – ricordano i promotori dell’appuntamento in una nota – a 36mila uomini italiani viene diagnosticato un tumore alla prostata, il più frequente negli over 50; circa 20mila subiscono un intervento chirurgico radicale. Dopo una prostatectomia, la metà degli uomini può andare incontro a due problematiche funzionali. La prima, più frequente, è la disfunzione erettile perché la rimozione del tumore può comportare il danneggiamento delle strutture deputate all’erezione. La seconda, meno frequente ma ugualmente devastante, è l’incontinenza urinaria. In entrambi i casi i pazienti dovrebbero, senza difficoltà e ovunque sul territorio, accedere ai Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (Pdta), prima di tutto riabilitativi e poi farmacologici e chirurgici, per recuperare autonomia e qualità di vita. Come testimoniato, restano invece disparità enormi fra le Regioni italiane. Nella disfunzione erettile – prosegue la nota – quando la terapia farmacologica non è efficace (nel 30-35% dei casi), l’impianto di una protesi peniena risulta risolutivo per ripristinare la piena funzionalità dell’organo coinvolto e quindi l’erezione. Tutti i componenti della protesi vengono impiantati sottocute e non sono visibili dall’esterno, un aspetto fondamentale per l’accettazione dei pazienti. La protesi peniena, hanno ricordato le associazioni di pazienti Fincopp ed Europa Uomo, è una prestazione prevista dalla sanità pubblica, ma l’accesso agli impianti protesici nell’ambito del Servizio sanitario nazionale non è agevole per tutti i pazienti, contrariamente a quanto consolidato sul fronte femminile, essendo da tempo prevista la rimborsabilità delle protesi mammarie dopo una mastectomia. I dispositivi per lui (protesi peniene e sfinteri urinari artificiali), anche se riconosciuti come efficaci e risolutivi, non sono ‘garantiti’ per ragioni normative. Nessuna Regione prevede, al momento, modalità di rimborso e il sistema dei Drg (le procedure di classificazione e finanziamento dell’attività ospedaliera) contempla rimborsi che risultano inadeguati. Inoltre, le protesi non rientrano nei Lea, Livelli essenziali di assistenza. Radicalmente diverse, invece, le norme per i farmaci impiegati dopo la chirurgia pelvica demolitiva. La Nota 75 prevede infatti il rimborso delle terapie farmacologiche per i pazienti sottoposti a chirurgia pelvica, rendendo doppiamente incomprensibile la ‘chiusura’ nei confronti delle protesi. Quanto all’incontinenza urinaria dopo una prostatectomia, sono ritenuti risolutivi gli sfinteri urinari artificiali (Sua). Posti all’interno del corpo, permettono di ripristinare appieno la funzionalità urinaria e riducono drasticamente l’impiego quotidiano di pannoloni (a tutt’oggi la soluzione più diffusa), che passano da una decina a 0-1 al giorno, con risparmi per il Ssn e un significativo miglioramento della qualità di vita. Emergono però criticità anche in questo caso: basti pensare che il Servizio sanitario nazionale copre solo il 24% dei pazienti potenzialmente idonei a questi impianti terapeutici. Ne consegue che l’accesso ai percorsi di riabilitazione, farmacologici, chirurgici – continuano i promotori dell’evento milanese – è spesso lasciato all’iniziativa dei singoli reparti ospedalieri o dei singoli medici. Varie le motivazioni, come la convinzione, errata, che l’aspetto più importante sia solo la rimozione del tumore e che l’aspettativa di vita debba concentrarsi su questo. Dall’altro ci sono le considerazioni sui costi dei trattamenti di recupero funzionale, ritenuti eccessivamente elevati, e sulle modalità di rimborso, tuttora inadeguate, che affidano ai direttori sanitari le valutazioni sulla opportunità o meno di dotarsene. Con queste premesse, si comprende perché ci siano pochissimi centri specializzati e sia scarsa la diffusione di queste soluzioni, nonostante ne siano riconosciute l’efficacia terapeutica e il carattere di intervento non estetico Nel convegno sono stati presentati anche modelli virtuosi, sviluppati da varie strutture ospedaliere (per esempio a Torino, Parma, Foggia), come l’efficiente rete di centri specialistici di primo, secondo e terzo livello nei quali operano team multidisciplinari che affrontano tutti gli aspetti della patologia e dei percorsi di recupero. E’ stata ricordata, ad esempio, la creazione di innovative piattaforme che consentono di mantenere costante il dialogo con i pazienti garantendo appropriatezza e aderenza alle terapie, il massimo supporto lungo il percorso terapeutico e un costante flusso di informazioni fra clinici. Sui risparmi generati da un’attenta gestione di queste situazioni, è stato presentato uno studio condotto dall’Università di Roma Tor Vergata sull’Hta (Health technology assessment) per verificare la sostenibilità economica dello sfintere urinario artificiale. In questo caso, il raffronto fra il costo del sistema e i costi, diretti e indiretti, legati all’incontinenza urinaria maschile (pannoloni, farmaci, giornate lavorative perse, isolamento sociale e così via) porta addirittura a un bilancio a favore dell’impianto, soprattutto se effettuato con modalità codificate in uguale misura sull’intero territorio e valutando con lungimiranza anche l’impatto dei costi legati al non utilizzo. Determinato a superare le criticità, riprogrammando un sistema sanitario moderno e rispondente alle esigenze dei cittadini, l’intervento dell’onorevole Marco Lacarra (Pd). L’esponente politico – riportano ancora i promotori dell’incontro – ha ricordato come anche in precedenza siano state sviluppate iniziative per sensibilizzare il mondo politico attraverso una Risoluzione parlamentare di consenso trasversale, a cui si augura che il nuovo Governo voglia dare seguito e concretezza. Di pari importanza i riferimenti all’impegno istituzionale delle società scientifiche (Auro, Essm, Sia, Siu, Siud) e del mondo accademico che hanno il compito di formare i professionisti del settore. Pur rimarcando le differenze rispetto ad altri Paesi europei, l’auspicio condiviso è che un numero sempre più ampio di professionisti venga sensibilizzato su queste tematiche. Da segnalare, infine, le certificazioni delle best practice ospedaliere attuate da Fondazione Onda (bollino rosa, bollino azzurro) e l’impegno di autorevoli clinici all’elaborazione di un Position paper che consentirà di richiedere, istituzionalmente, l’adozione di soluzioni di recupero funzionale per migliaia di uomini sottoposti a prostatectomia, e percorsi terapeutici accessibili e risolutivi da sviluppare nelle strutture urologiche. Guardando al futuro, la speranza espressa da più parti è la creazione di centri con vari livelli di specializzazione ai quali possano riferirsi tutte le strutture ospedaliere e che possano garantire a tutti i pazienti pari diritti e accesso a terapie e assistenza.

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