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La Camera vota la fiducia al Governo Conte, ma la vera partita si gioca al Senato

Di Redazione |

Trecentoventuno voti a favore. Conte incassa una fiducia piena, con sei voti oltre la maggioranza assoluta pari a 315, nella prima prova per la sopravvivenza del governo alla Camera. Votano sì cinque deputati ex M5S, il dissidente sempre 5S Andrea Colletti e l’azzurra Renata Polverini. Ventisette gli astenuti, 259 i voti contrari. Lo sguardo è ora spostato sul Senato dove la partita è più difficile: raggiungere quota 161 è al momento considerato un miraggio. Italia Viva conferma la scelta di astenersi ma alla maggioranza basterà un voto in più delle opposizioni per vincere questo round, poi si volterà pagina e sarà tutta da scrivere.

«Aiutateci a ripartire», dice il premier Giuseppe Conte in Aula a Montecitorio lanciando un appello ai quei «volenterosi” che potrebbero salvare il governo dandogli la stabilità necessaria ad andare avanti, promettendo l’impegno per una nuova legge elettorale in senso proporzionale. L’ora «è grave» e per proseguire nel cammino della lotta al Covid e delle riforme ora occorre «voltare pagina». Che è anche quanto gli chiede a chiare lettere il Pd.

Cartellina sottobraccio, Conte inizia la lunga giornata a Palazzo Chigi consapevole di trovarsi in «una situazione non semplice» ma anche assicurando di confidare nei «parlamentari e nel Paese». L’appuntamento con l’Aula di Montecitorio, in diretta televisiva, è per le 12 e in cinquantacinque minuti il presidente del Consiglio svela «chiaramente» il proprio progetto. Li chiama «volenterosi» e non responsabili quei parlamentari a cui si rivolge invitandoli a condividere il pezzo di strada che resta e che vede sul tavolo la gestione di oltre 200 miliardi con il Recovery plan, e su cui le Camere avranno diritto di parola. «Aiutateci», scandisce per ben tre volte parlando all’emiciclo e chiedendo un «appoggio limpido» a liberali, popolari e socialisti. Lontano dai toni dell’invettiva che fece contro Matteo Salvini nell’agosto del 2019, il presidente del Consiglio non cita mai Renzi ma è lui che ha in mente quando parla di «attacchi scomposti».

La crisi aperta da Iv gli appare senza alcun «fondamento» e riavvolgere il nastro ora è impossibile, avverte. Nel Paese, dice, «c’è un profondo sgomento». Il partito guidato da Renzi, pure attraversato dalla tentazione di votare no, alla fine tiene la posizione: in Parlamento sarà astensione, emerge dalla riunione alla Camera nel primo pomeriggio. A Palazzo Madama prenderanno la parola Teresa Bellanova e lo stesso Matteo Renzi: «Non c’è stata volontà di costruire una agenda condivisa», è l’invettiva di Ettore Rosato nei confronti del premier.

Il pallottoliere di Palazzo Madama continua a essere mobile: le stime oscillano tra i 154 voti a favore del governo fino a quelle più ottimistiche che prefigurano quota 158.

Ma la partita aperta con le dimissioni delle ministre Iv non finirà con il voto nelle aule parlamentari. La sedia rimasta vacante del ministero dell’Agricoltura verrà riassegnata e anche la delega ai servizi segreti verrà attribuita, annuncia sempre Conte incassando qualche applauso (14 in tutto quelli tributati al premier). Apprezzamenti che però rischiano di non essere sufficienti ad archiviare l’ipotesi di un rimpasto consistente. Il governo e Conte in particolare, è la tesi dei Dem, non può accontentarsi di sopravvivere: Zingaretti, che riunisce i senatori Pd, vede davanti «una strada molto più stretta di quanto si immagini, perché non possiamo in prospettiva accettare di tutto». Ed ecco che torna la necessità di un patto di legislatura, pure evocato dallo stesso premier: si deve aprire una stagione di rilancio quindi, anche se nella consapevolezza di «numeri angusti» e di «una compagine complessa».

E il vice Andrea Orlando guarda già al dopo crisi, convinto che occorra valutare con attenzione la risposta del M5S alla «richiesta di Conte di essere riferimento di una coalizione europeista e antisovranista». Che è in effetti quanto esplicitato dal premier, che ha anche evidenziato la convergenza di agenda con l’amministrazione Biden. A parole, almeno, anche i pentastellati concordano. Lo dice Vito Crimi: «serve un rinnovato patto di governo».

Di riunione in riunione, il centrodestra cerca intanto di serrare i ranghi: l’Udc fa sapere non passerà al ‘nemicò e l’unica via, per la coalizione guidata da Salvini, Meloni e Berlusconi, passa per le dimissioni del premier. Quello in atto, attacca Giorgia Meloni, è solo un «vergognoso mercimonio». 

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