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Intervista con Farinetti: «Eataly aprirà in Sicilia e sarà Catania a ospitare il regno della gastronomia»

Di Carmen Greco |

Dopo Bari, quindi, ci sarà un Eataly ancora più a Sud.

«Intanto vorrei specificare – mette le mani avanti – che non è una roba a breve tempo. Noi siamo impegnatissimi nelle aperture all’estero e in questo momento non possiamo assolutamente dedicarci all’Italia, dobbiamo aprire a Los Angeles, a Londra, a Parigi e a Mosca. Io ho espresso semplicemente la certezza che il prossimo Eataly del Sud sarà in Sicilia e a Catania. Non sappiamo di preciso quando, però lo faremo potrebbe anche essere fra tre-quattro anni».

Perché Catania?

«Il motivo è semplice. Il sindaco Enzo Bianco ci tiene molto e le persone con cui ho parlato a Catania hanno dimostrato un amore per il territorio eccezionale. Poi perché Catania è la città più potente sotto il profilo degli affari e soprattutto perché intorno a Catania c’è una rete di agricoltura di altissimo livello, che va dai vini dell’Etna all’olio d’oliva, in più c’è, a due passi, una costa eccezionale. Ci sembra la condizione giusta, prima o poi arriviamo».

La tabella di marcia delle aperture a parte quelle all’estero?

«Noi in Italia completeremo il programma delle operazioni già “firmate” che sono due: abbiamo appena aperto a Trieste e il prossimo Eataly sarà nel 2018 Verona, la cui sede è attualmente in ristrutturazione. Terminati Verona e quelli che abbiamo all’estero, ci occuperemo della vostra città».

Avete individuato una sede papabile?

«Non ancora. Ci sono alcuni luoghi candidati ma diciamo che, per adesso, non abbiamo ancora trovato quello che ci soddisfa. Prima o poi lo troveremo, basta avere un po’ di perseveranza. Io sono tornato diverse volte, mi piace molto venire dalle vostre parti, mi piace stare sull’Etna a bere roba buona».

La formula sarà sempre la stessa?

«Sì, certo, anche se ogni Eataly cambia da regione a regione. Il 50% dei prodotti, come sapete, sono indigeni».

Quale sarà la ricaduta occupazionale?

«Ogni Eataly, dagli 85 posti di lavoro di Firenze, che è uno non molto grande, ai 452 di Roma, implica l’assunzione di persone. A Bari, per esempio ne abbiamo 130».

Lei ha sempre detto che la prima dote di un imprenditore è la capacità di semplificare. Dove ci siamo complicati la vita noi siciliani?

«Non sono all’altezza di giudicare, commetto già io molti errori, e poi siamo in un paese in cui tutti giudicano e pochi fanno. Mi limito, però, a guardare i fatti e cioè la terra più bella d’Italia, la regione più bella del mondo, la Magna Grecia, a fronte di una bellezza inaudita sotto tutti i profili, paesaggio, arte, enogastronomia, ha risultati numerici nel campo del turismo e delle esportazioni molto al di sotto delle sue potenzialità. Deve assolutamente fare qualcosa, per riuscire ad esplodere. Voi che a Catania avete un buon aeroporto, sebbene necessiti di un ampliamento, secondo me, avete questa possibilità. Mi diceva già Enzo Bianco che ci sono dei numeri di presenze turistiche molto interessanti negli ultimi due anni».

È sempre convinto che entro dieci anni l’Italia sarà il Paese più ricco d’Europa perché metterà a frutto le potenzialità del suo agroalimentare e delle sue bellezze?

«Sì, certo. Tutti i numeri ci portano a pensarlo. Abbiamo un unico problema: noi italiani. Popoli meno fortunati di noi sotto il profilo della natura, hanno fatto cose migliori, se lei pensa che Dubai fa più turisti internazionali di Roma… il divario di bellezza tra i due luoghi è incommensurabile, ma è certo che gli arabi sono riusciti ad organizzarsi meglio. Questo vuol dire che il problema siamo noi. Io cito sempre il mio territorio, le Langhe. Oggi stanno funzionando a meraviglia sotto il profilo del turismo internazionale grazie ai prodotti straordinari che abbiamo, il tartufo, il barolo, il barbaresco, ma anche perché vent’anni fa c’è stato un cambio di passo da parte della popolazione. Si sono resi conto che dovevano mettere più impegno nell’accoglienza e oggi i risultati si vedono: incrementiamo ogni anno di due cifre il numero di presenze. Per non parlare della Romagna che ha un mare decisamente meno bello del vostro ma che ha un numero di turisti di tre quattro volte superiore. Il punto è che dobbiamo cambiare un po’ mentalità noi italiani, essere meno vittimisti, dedicare meno tempo a lamentarci e più tempo, anzi tutto il tempo a cercare le soluzioni, a connetterci insieme, per cercare di fare un po’ di rete».

Una cosa che l’ha colpita, di Catania, dell’Etna?

«In questo momento voi avete un prodotto straordinario di altissimo livello mondiale che è il vino, l’Etna rosso, secondo me, è tra i migliori vini rossi del mondo e quindi ha delle chance straordinarie, dopodiché io direi tutti i prodotti ortofrutticoli della Sicilia. Per me il viaggio in Sicilia vale solo per mordere un pomodoro o una melanzana, non è il caso di assaggiare dei piatti complicati, bastano i prodotti che ci sono. E, poi, gli scenari straordinari, i paesaggi di Sicilia in cui ogni valle è un continente. Se poi uno può, anche in novembre, farsi una passeggiata in maniche di camicia per visitare un museo, un teatro greco, una chiesa…».

Visto che è in Sicilia perché non viene a vedere la festa di S. Agata?

«Mi piacerebbe ma non so, mi sa che non ci riesco…».

Eataly

L’impero gastronomico creato da Oscar Farinetti, compie dieci anni e si prepara a sbarcare in Borsa nel 2018. I numeri del gruppo sono impressionanti: nel mondo ci sono 37 Eataly, 22 in Italia e 15 all’estero, con 157 ristoranti dove mangiano ogni giorno 23.000 persone. I visitatori sono 25 milioni l’anno, in dieci anni sono state assunte 5.500 persone e 8.846 prodotti esportati.

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