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Se la Storia si può leggere anche “studiando” i Simpson

Di Carmen Greco |

Quand’è nata questa passione per i Simpson?

«Qualche anno dopo la loro messa in onda in Italia, nel ‘91, quando i Simpson sbarcarono su Canale 5, preceduti da una campagna di stampa denigratoria, perché erano considerati immorali e volgari. Allora neanche mi piacevano anche perché, graficamente, erano più brutti, più sgraziati. In seguito ho capito che erano una cosa molto seria».

Molti degli avvenimenti raccontati negli episodi dei Simpson sono realmente accaduti…

«Infatti io li ho analizzati dal punto di vista dei riferimenti storici. Prima dell’Università, ho insegnato al Liceo e utilizzavo i Simpson per dare ai ragazzi un minimo di competenze sulla “lettura delle immagini”. I Simpson utilizzano molto un linguaggio cinematografico. La sigla, per esempio, che dura solo un minuto e mezzo (e il cui finale sul divano cambia ad ogni episodio ndr), è un esempio di come in poco tempo si possano condensare le informazioni se uno sa leggere il mezzo audiovisivo. Più in là ho cominciato ad approfondire questa sit com e ho letto alcuni libri molto seri tra i quali “I Simpson e la filosofia” dove tre studiosi americani analizzano la sitcom dal punto di vista delle varie scuole filosofiche. Poi è uscito Brunetto Salvarani con «Da Bart a Barthes. Per una teologia dei Simpson» e, ancora, «La Scienza dei Simpson: guida non autorizzata all’universo in una ciambella», libro del giornalista scientifico Marco Malaspina edito sempre da Sironi. A quel punto mi sono chiesto perché nessuno avesse mai scritto nulla sui Simpson e la Storia e così mi sono messo alla prova».

Un lavoro lungo?

«Un lavoro titanico perché i Simpson avevano già 25 stagioni alle spalle, circa 5000 episodi. L’anno scorso sono arrivato alla nausea, ora sto ricominciando a vederli».

Che storia insegnano i Simpson?

«Chiariamo. Chi pensa che con i Simpson può imparare la Storia, sbaglierebbe. Però aiutano a leggere degli eventi storici, anche se in modo, a volte, originale. Quello che mi interessava era l’aspetto didattico, poter avvicinare gli studenti alla Storia contemporanea. In alcune puntate dei Simpson ho trovato degli appigli, dei pretesti, per spiegare dei concetti storiografici complessi».

Per esempio?

«Sono sempre stato interessato ai processi di state e nation building, cioè i processi di costruzione dello Stato e della Nazione, che sono delle tematiche recenti della Storia contemporanea. Uno storico inglese, Eric Hobsbawm, ha parlato dell’”invenzione della tradizione”, cioè una comunità si inventa retrospettivamente una tradizione per darsi delle basi storiche. L’episodio di riferimento è “Lisa l’iconoclasta”, quando Lisa Simpson scopre che il fondatore della città, Geremia Springfield, che la comunità celebra ogni anno come padre della patria, non è un eroe, come tutti credono, ma un pirata. Lisa fa una ricerca storica e trova le prove di questa verità . Alla fine, però, quando sta per rivelare la sua scoperta ai cittadini di Springfield schierati in piazza con la banda, non se la sente di mandare in fumo il mito dell’eroe commemorato ogni anno con tutti gli onori. Lisa edulcora così la realtà storica per creare una base storica alla sua comunità. Lo fa perché capisce che, ogni anno in quell’occasione, la comunità di Springfield dà il meglio di sé. Le Istituzioni si basano anche sulle tradizioni inventate».

In qualche caso gli episodi dei Simpson però hanno anticipato la Storia. Lisa diventava la prima presidente donna degli Stati Uniti. La storia è andata un po’ diversamente…

«L’episodio era del 2000 prevedeva Lisa Simpson presidente, preceduta da una presidenza Trump che aveva prosciugato le casse».

Più che un’anticipazione un vaticinio…

«Ma Lisa diventava presidente nel 2030 ancora c’è tempo. Quando si leggono bene il passato e il presente, si può azzeccare anche il futuro».

Sono bravi gli sceneggiatori o è stato un caso?

«Sono bravissimi, una puntata costa circa 500mila euro, è scritta da almeno 10/12 sceneggiatori ed è tutta gente laureata nella più importanti università americane».

Esiste una famiglia Simpson siciliana, un corrispettivo di Homer?

«La famiglia Simpson la vedo molto catanese. Uno così lo vedrei molto simile a Brigantony, però è difficile “tradurre” i Simpson, ho trovato pochissimi agganci con la Storia europea, sono molto intrisi di cultura americana».

I riferimenti storici sono molto precisi…

«Nonno Simpson è un reduce della II Guerra Mondiale, il preside Skinner è un reduce del Vietnam, una ferita sempre aperta nell’immaginario storico americano, la madre di Homer, Mona, è una madre hippy, il mio personaggio preferito, simbolo della controcultura americana degli Anni Sessanta e Settanta. Ma poi si parla anche di watergate, proibizionismo, padri fondatori, nativi americani, i riferimenti sono tantissimi».

Facciamo un paragone tra Springfield e Catania?

«Sono molto diverse, Catania è una piccola capitale del Sud mentre Springfield è una città di provincia, con le case a schiera tipiche dell’urbanizza americana del Novecento. Lì l’economia del paese si base sulla centrale nucleare, qui a Catania non saprei neanche dire su cosa si basi l’economia, il terziario, il pubblico impiego…».

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