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L’ Etna “fa gola” anche a Oscar Farinetti : «Investo qui perchè credo nel Sud»

Di Carmen Greco |

Per uno che va a caccia di “eccellenze” il passo era quasi scontato. E da buon “ultimo arrivato” Oscar Farinetti, parla della sua nuova avventura sull’Etna facendo professione di umiltà e sfoderando apprezzamenti «per la storia e le tradizioni di un territorio pazzesco».

Perché ha scelto proprio l’Etna?

«Perché oggi è una delle zone d’Italia al top per poter produrre vino di qualità. Io amo tutti i vini italiani, ma all’interno di questi ce ne sono alcuni che vanno oltre, come il Barolo in Piemonte o il Brunello a Montalcino e poi c’è l’Etna con il rosso e il bianco.».

I vari step di questo progetto?

«La famiglia Farinetti è in società con la famiglia Tornatore per condurre questa azienda, una ventina di ettari in totale, di cui 7 vitati ai quali ne potremo aggiungere altri 4/6 per arrivare ad un massimo di 10/12 ettari fra Nerello e Carricante, altri 6 ettari invece saranno coltivati ad ulivo. La nostra idea è di produrre tra le 50 e le 100mila bottiglie di un Etna doc di altissimo livello, il 70-75% rosso, il resto bianco, oltre ad un olio extravergine monocultivar di altissima qualità, Nocellara dell’Etna in purezza».

Che nome avrà l’azienda?

«Lo decideremo, avremo tempo per farlo. Non ci dispiacciono né il nome della zona, Carranco, né quello dell’azienda acquisita Villa dei Baroni».

Oggi i produttori dell’Etna doc sono 150-160, dieci anni fa erano poco più di una ventina…

«Molti produttori siciliani miei amici come Planeta, Graci, Foti, Tornatore, si sono impegnati a fare grandi vini e ce ne saranno sempre di più, il territorio è vasto. Non dimentichiamoci che fino ad un secolo fa sull’Etna si produceva una quantità di uva spaventosa, la potenzialità c’è. Oggi, fra i vini siciliani, l’Etna è quello con il più altro livello d’immagine nel mondo. Riscuote un grande successo, anche sul piano della bevibilità».

Quando si parla di “Etna” ogni produttore rivendica una sua particolare specificità, lei il suo Etna doc come come lo immagina?

«Intanto è vero. Io sono nella zona del barolo, undici comuni in cui ognuno coniuga la sua personale espressione del barolo, e così dev’essere. Noi tireremo fuori l’Etna che spontaneamente verrà fuori da Carranco. Ci sono vigne vecchie, altre un po’ più giovani, andremo ad inserire vitigni nuovi, produrremo il vino che esprime quel territorio, sono curioso di vedere cosa viene fuori».

Il presidente del Consorzio Etna doc, Antonio Benanti, ha lanciato un appello sulla mancanza di manodopera: è difficile trovare operai che sappiano lavorare in vigna, innestatori, addetti in cantina. In sostanza è “saltata” una generazione…

«È un problema comune a tutt’Italia, magari sull’Etna è un po’ più pronunciato. Antonio ha ragione, dobbiamo lavorarci, magari portando degli agronomi bravi che hanno questo know how da poter insegnare ai giovani. Oltretutto l’Etna sarà un vino che potrà essere venduto ad un prezzo sempre più elevato nel mondo, quindi potrà sopportare anche costi importanti, in modo da poter pagare meglio tutti i fattori, sia umani che tecnici di produzione, alla base di questo vino straordinario».

Ogni volta che un imprenditore da fuori viene ad investire al Sud ci sono due tipi di reazioni, chi lo vede come un salvatore della Patria, chi come un colonizzatore che viene ad insegnarci il mestiere. Fra questi due estremi dove si colloca?

«Sono due forme di esagerazione, e anche se in questo momento in Italia vanno di moda le esagerazioni, io mi colloco come un imprenditore del mondo. Io sono piemontese, ma al posto mio avrebbe potuto esserci anche un americano che ha letto in questo territorio delle potenzialità straordinarie non per portarci vitigni nuovi o tecniche nuove, ma per conoscere i vitigni e le tecniche indigene per poi portarle nel mondo grazie al vino. Il vantaggio che posso avere io è quello di avere nel mondo molte installazioni di commercio che mi aiuteranno a diffondere in breve tempo il vino “Etna”».

Insomma lei ci crede in questo rilancio del Sud…

«Ci credo da matti! Ma è obbligatorio, bisogna farlo. L’Italia è un Paese che già è uno dei più ricchi d’Europa e sono pronto a dimostrarlo con i numeri a dispetto di quello che pensa la gente. Il problema è che esiste questa “linea gotica” tra centro nord e centro sud con differenze di disparità di reddito di 3:1. Il Sud, che è un problema, può diventare una grande opportunità, abbiamo però bisogno che i primi a crederci siano i meridionali. Se va a leggere le prime tre pagine de “La Malora” di Beppe Fenoglio scritta nel 1954 quando sono nato io, si rende conto di com’erano allora le campagne piemontesi. C’era una povertà incredibile e lo stesso vale per il Veneto del dopoguerra, erano zone immensamente più povere della Sicilia. Ora sono le più ricche d’Italia grazie alla moltitudine di meridionali, che sono partiti per lavorare al Nord e insieme a noi hanno realizzato questa meraviglia del miracolo economico facendosi un mazzo così».

E al Sud oggi come si può replicare questo “miracolo”?

«Io sostengo che dovremmo sdebitarci in qualche modo. Cioè partire dal Nord, venire ad investire al Sud e insieme costruire un nuovo miracolo economico. Io ci credo, ma le cose si fanno solo insieme e si fanno mischiando le “razze”. La razza del Nord è una razza mista, nord-sud, e sono proprio le razze “impure” – vedi gli Stati Uniti – che creano i miracoli e cambiano le cose in meglio. Insomma, dobbiamo mischiarci, è la cosa importante».

Parlare di razze che si mischiano in questo periodo storico non è proprio l’ideale…

«È il contrario di quello che pensa il Governo, lo so. Ma Salvini ha già fatto un grandissimo passaggio in questi due/tre anni superando una forma di razzismo insita della Lega contro i meridionali. Speriamo che nei prossimi anni possa superare anche quella nei confronti degli immigrati, ma dobbiamo darci da fare».

Vino, olio, le mancano solo le arance, si butterà anche in questo business?

«Le arance, un altro prodotto straordinario… Per adesso non abbiamo territori, però abbiamo un sacco di amici dai quali ogni anno compriamo bìlici e bìlici di arance che vendiamo nei nostri Eataly del Nord. Per adesso non ci sentiamo all’altezza di investire in questo campo, occupiamoci di vino e olio, in seguito si vedrà».

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