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Quando la morte è una lama che si conficca nelle vene di tutti

Di Cinzia Zerbini |

Ci deve essere, da qualche parte, un meccanismo che si blocca quando il dolore che si potrebbe provare diventa troppo. Si capisce dal fatto che ad un certo punto molta gente abbassa il telefonino per applaudire e per evitare, forse, di riguardare delle immagini che fanno troppo male. 

Stiamo aspettando le bare della tragedia di Casteldaccia. Annunciata? Cosa importa oggi, mentre il sole brucia, mentre i palloncini rosa, mentre la bellezza architettonica della Cattedrale di Palermo rende tutto così friabile, così irriverente, ma anche così spettacolare. Con questi ragazzini che tengono tra le mani la parola “piange”, scritta su uno striscione lunghissimo, accanto ad un’altra: «Palermo».

Sono in silenzio. Ogni tanto qualcuno prende un fazzoletto e si asciuga le lacrime. Anche un poliziotto lo fa. Avranno la stessa età, circa 25 anni, e la morte a quell’età è un abominio.

Poi l’uscita dopo la messa che non sarà mai per la prima comunione o per la cresima o per un matrimonio che magari il padre aveva tante volte immaginato per questi figli ora nelle bare.

I cofani delle auto delle pompe funebri sembrano fauci e le note della banda rendono tutto irreale. Se la morte è questa sorta di lama che si conficca nelle vene di tutti, se la morte fa così così male – sempre, certo, ma ancor di più oggi – come fai a spiegare a quel meccanismo che dopo si può sopravvivere?.

La morte unifica. Si percepisce qui, in questa piazza-sagrato dove anche i giapponesi posano le loro tecnologiche macchine fotografiche e guardano attoniti questa cornice dove a un certo punto le mani di uomini alzano una bara bianca e con un tempismo perfetto i palloncini volano. Come è coreografica la morte, come tutto diventa un simbolo. 

Se è vero che i piccoli angeli esistono oggi saranno arrivati loro tanti palloncini. E in Cielo, si sa, non si sgonfieranno mai.   COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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