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il caso pedreti

Dalla gogna mediatica al cyberbullismo

Giovanna Pedretti si è tolta la vita, e lo ha fatto come le donne nel mondo greco che sceglievano di morire per annegamento, tramite il katapontismos

Di Antonio Fiumefreddo* |

Giovanna Pedretti è stata trovata cadavere la sera del 14 gennaio scorso, lungo le sponde del fiume Lambro.Si è tolta la vita, e lo ha fatto come le donne nel mondo greco che sceglievano di morire per annegamento, tramite il katapontismos, il tuffo nell’acqua, poiché al genere femminile era permessa una morte ma senza sangue, mentre solo gli uomini potevano togliersi la vita trafiggendosi con una spada.Ma prima ancora, la Pedretti, e prima di lei tanti altri, è stata attinta dalle frecce dell’odio social, dalle virali violenze della rete, legata alla colonna infame, dai soliti sedicenti influencer che per fare follower non si fanno scrupolo di passare sopra la vita del prossimo.Tutto questo pare averla uccisa, o comunque convinta a togliersi la vita.

«Vi furono alcuni malnati perturbatori della comune quiete, e nemici del ben pubblico, i quali o con idea di aumentare il male contagioso, o per accrescere lo spavento nel Popolo, occultamente ungevano e facevano da altri loro partitanti ungere li catenacci, ferramenti, e cantonate delle Contrade», scriveva Manzoni nella “Colonna Infame” dopo la vergognosa accusa d’essere degli untori che aveva distrutto la vita di Giangiacomo Mora e Guglielmo Piazza, ma non sembra che oggi sia cambiato nulla.Lo chiamiamo cyberbullismo e stiamo provando a perseguirlo penalmente ma, come più volte è stato osservato, non ci sarà mai una norma capace di arginare un fenomeno quando esso diventa pratica collettiva, tendenza degradata di una società che anziché ricercare la solidarietà sembra unicamente interessata a guadagnare i like, spesso falsi quando non comprati.Sembra un ritorno, certo non epico, alla società omerica, alla cosiddetta “civiltà della vergogna”, come l’ha definita la studiosa Benedicta Ruth, in cui l’unico valore riconoscibile è la sfida del più forte, la competizione che diventa sopraffazione, senza che vi sia spazio sociale per il più fragile o semplicemente per il più sensibile.

La gogna, dunque, che era un collare in ferro, fissata a una colonna per mezzo di una catena, e che veniva stretta attorno al collo dei condannati esposti alla berlina, si è trasformata oggi nella violenta piazza della rete, con il suo popolo di contatti che, come al Colosseo, dà sempre il pollice verso, che è di nuovo e sempre pronto a gridare il suo crucifigge.Anche questa volta, qualcuno si laverà le mani, sporche degli insulti e ancora con le tracce della polvere da sparo lasciata dai proiettili di veleno, vestendo i panni del Pilato di turno, e dopo le polemiche, dal ritmo sincopato dalle emozioni, si ritornerà veloci al bersaglio del giorno dopo, alla preda ventura della prossima esecuzione sommaria.

Gli atti di persecuzione via social, il far west digitale, come lo ha chiamato un autorevole direttore di giornale, se soddisfano nell’immediato l’ingiusto tributo alla vanità del più violento, procurano nella vittima il panico, la depressione, l’isolamento e, in certi casi particolari, come dimostrano le cronache degli ultimi anni, anche l’estremo gesto autolesionistico, con il suicidio, che porta con se forse soltanto un elemento positivo se servirà a dimostrarci che l’uomo appartiene ad una specie che tra le sue genìe ha ancora i miti di cuore!

*Avvocato, Docente a contratto di Diritto Penale nelle UniversitàCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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