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Il patto della Cop26, 20 miliardi di dollari per salvare le foreste

Di Redazione |

LONDRA – , barriere vitali contro l’effetto di quei cosiddetti gas serra che minacciano di renderla invivibile, contribuendo al surriscaldamento. È il Il vertice tuttavia – in attesa di sessioni e negoziati tecnici destinati a protrarsi sino alla prossima settimana – ha prodotto per ora sulla questione chiave del contenimento delle che alimentano la minaccia dei cambiamenti climatici; sull’impegno a mantenere l’innalzamento delle temperature del globo entro il in più rispetto all’era pre-industriale; e soprattutto sui : questioni che continuano a dividere i Paesi, inclusi quelli più grandi e storicamente responsabili dell’inquinamento, lungo linee di faglia ispirate a enormi interessi geopolitici, economici e magari a calcoli di consenso interno.”Abbiamo fatto molto, ma molto resta ancora da fare”, ha sintetizzato in serata il presidente Usa Joe Biden. Come dimostrano le firme in calce alla dichiarazione annunciata dal premier britannico, nei panni di anfitrione della conferenza, sul : “cattedrali della natura”, come le ha definite Johnson, che permettono il respiro della Terra. Impegni destinati ad andare anche a beneficio di “popolazioni indigene e comunità locali” che di quelle foreste sono “custodi”, ha giurato BoJo, non senza esaltare l’adesione a questo accordo di leader coriacei i cui Paesi coprono l’85% del patrimonio forestale del globo: incluse la sterminata Russia di Vladimir Putin, l’Indonesia, il Congo, la Colombia e, più importante di tutti, il Brasile, il cui presidente attuale, Jair Bolsonaro, si è guadagnato peraltro negli anni del suo mandato l’ostilità della gente india e di molti altri detrattori, avendo accresciuto, non certo attenuato, il disboscamento senza tregua della colossale selva pluviale amazzonica. Qualcosa, ma non abbastanza per i rappresentanti dell’Amazzonia, presenti anche loro a Glasgow. Poco per Greta e gli altri manifestanti che continuano a protestare fuori dal sinedrio del lavori. Mentre papa Francesco unisce la sua voce a quella della regina Elisabetta per ammonire che “non c’è più tempo” per le mezze misure, che occorre dar prova d’uno spirito di cooperazione internazionale da ricostruzione post bellica. E lo stesso Johnson non va oltre un “cauto ottimismo” a fine summit, aggiornando le previsioni di successo della Cop di poco, da “6 contro 10 a 2 contro 5”, non senza ammettere che resta ancora “tanta strada da fare” per arrivare al risultato sperato: malgrado gli impegni per 100 miliardi di dollari complessivi disposti finora sul piatto della conferenza e il contributo “senza precedenti” del grande business privato. Ancora di più uscirà del resto dalle singole quanto capienti tasche di alcuni dei più ricchi fra i super nababbi planetari: in primis Jeff Bezos, criticato il mese scorso dal principe William per “lo spreco” di risorse nel turismo spaziale ma cooptato dall’erede al trono Carlo, pioniere dell’ecologia, nella raccolta di donazioni dal settore privato globale a tutta una serie d’iniziative ambientaliste promosse dalla fondazione del principe di Galles. Nel frattempo, a corroborare il cauto ottimismo di BoJo, ; tutti orientati a tenere più in generale il punto di una scadenza più lunga per il taglio delle emissioni in genere (fino al 2060 Pechino e Mosca, addirittura al 2070 New Delhi). Ma pur sempre un ulteriore passo in avanti, se si vuole: sperando che il pianeta sia disposto ad aspettare.

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