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Decapitato il clan mafioso Arrestato il boss Pipitone

Decapitato il clan mafioso Arrestato il boss Pipitone

Insieme a lui in manette sono finiti la moglie, la figlia, il genero e altri congiunti. Il blitz dei carabinieri è stato denominato “Destino”. Sequestrati beni per complessivi 8 milioni di euro

Di Redazione |

I carabinieri della Compagnia di Carini hanno arrestato, su ordine del gip del Tribunale di Palermo, Lorenzo Jannelli, che ha accolto la richiesta dei magistrati della Dda di Palermo, sei persone. In manette è finito il boss Angelo Antonino Pipitone di 71 anni, la moglie Franca Pellerito di 65 anni, la figlia Epifania Pipitone di 34 anni, suo marito Bendetto Pipitone di 40 anni, il cugino Francesco Marco Pipitone di 33 anni’81) e Angelo Conigliaro di 44 anni. Nell’ambito della stessa operazione, i militari dell’Arma hanno sottoposto a sequestro preventivo le quote sociali ed i complessi aziendali (circa 40 tra fabbricati e terreni) di due società a responsabilità limitata con sede a Carini, riconducibili al clan mafioso locale e per un valore complessivo di circa otto milioni. Perquisiti anche due studi legali di Palermo e Carini. I reati contestati a vario titolo sono associazione mafiosa, estorsione aggravata continuata in concorso, incendio aggravato in concorso, uccisione di animali aggravata in concorso, detenzione e porto illegale di arma da fuoco aggravati in concorso, trasferimento fraudolento di valori aggravato in concorso.

LE INTERCETTAZIONI. L’operazione è stata denominato «Destino» perché lo stesso boss Pipitone intercettato durante una conversaizone con la figlia sembra quasi confidare la sua rassegnazione, dimostrandosi pronto ad accettare qualunque conseguenza pur di portare avanti i suoi malaffari: «…Pazienza che posso fare, il mio destino è stato questo…che posso fare!? ».

L’INCHIESTA. L’operazione “Destino”, è scattata alle prime luci dell’alba. Le indagini hanno preso il via la notte di Capodanno del 2013, a seguito dell’incendio doloso di una stalla nelle campagne di Carini e dell’uccisione, mediante colpi di arma da fuoco, di due equini e di un suino custoditi all’interno della stessa. Gli investigatori, dopo mesi di lavoro, interrogatori e intercettazioni, sono riusciti ad individuare l’autore del gesto. A dare fuoco alla fattoria sarebbe stato Benedetto Pipitone mentre il mandante sarebbe stato proprio il suocero di quest’ultimo (il boss Angelo Antonino Pipitone), che all’epoca dei fatti era detenuto in carcere per estorsione e associazione mafiosa. L’atto intimidatorio era finalizzato ad indurre con la forza il proprietario di una stalla, a vendere la propria quota alla famiglia mafiosa (già proprietaria al 50% dello stesso terreno sotto la copertura di una società di Carini). Per il concorso nell’estorsione aggravata sono state arrestate anche Franca Pellerito e Epifania Pipitone, rispettivamente moglie e figlia del boss. La vicenda avrebbe sicuramente avuto un seguito, se non fosse stato per l’incontro tra una pattuglia dei Carabinieri ed il soggetto incaricato di compiere un secondo attentato incendiario alla stalla. Nel corso dell’attività investigativa, inoltre, i Carabinieri sono anche riusciti a ricostruire una fitta rete di prestanome, grazie ai quali l’anziano boss, pur trovandosi recluso dal gennaio 2007, riusciva a gestire e ad accrescere un immenso patrimonio occulto, fatto di ville, terreni, fabbricati industriali e società.

INDAGATI I COLLETTI BIANCHI. Tra gli indagati, oltre ai più prossimi congiunti del boss, vi sono molti di quei personaggi cosiddetti «colletti bianchi». Persone, quest’ultime, il cui apporto è risultato determinante per consentire ad Angelo Antonino Pipitone di conservare il proprio illecito patrimonio accumulato nel corso di decenni di appartenenza a cosa nostra. Proprio uno di questi, indagato in stato di libertà, è stato intercettato mentre schernisce l’operato dei Carabinieri di Carini, che etichetta come degli «invasati». Il riferimento è ad uno dei tanti accertamenti eseguiti dai Carabinieri sugli immobili della nota «Rotonda» dello svincolo autostradale di Carini, riconducibili alla stessa famiglia mafiosa e già sottoposti a sequestro nell’estate 2003, per violazione della normativa a tutela dell’ambiente. Una vicenda, questa, che costituì un duro colpo per la famiglia Pipitone, oltre che per l’aspetto prettamente economico, anche e soprattutto da un punto di vista dell’immagine. La «Rotonda» di Carini, infatti, ha per decenni costituito l’espressione del potere della famiglia mafiosa carinese. A chiusura del cerchio, nel corso dell’operazione «Destino», gli stessi Carabinieri hanno nuovamente sottoposto a sequestro – e questa volta per intestazione fittizia – uno dei fabbricati della «Rotonda».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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