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Una fioriera kennedyana per la Sicilia

Una fioriera kennedyana per la Sicilia

Di Carlo Anastasio |

Chissà se tra i siciliani può attecchire il metodo Jfk. «Non chiedetevi cosa il vostro Paese può fare per voi, – disse John Fitzgerald Kennedy nel discorso d’insediamento da 35° presidente degli Stati Uniti – chiedetevi cosa voi potete fare per il vostro Paese». L’appello valeva per l’America rigogliosa dei primi anni 60 del secolo scorso, ma potrebbe valere anche, e forse a maggior ragione, per la Sicilia appassita di oggi. Innanzitutto perché è ingenuo chiederci cosa la nostra Regione può fare per noi. La Regione, intesa come istituzione (che parola sovrabbondante per tanta inconsistenza), ha ben altro cui pensare: là, nel tempio della politica politicante, ultimamente ci si arrovella soprattutto a valutare i rapporti di forza tra strane categorie iperuranie, i cuperliani, i renziani, i crocettiani, e altre specie consimili, cioè si affrontano temi inarrivabili per la comprensione del cittadino profano. Frattanto, fosse per loro, l’isola più bella del Mediterraneo, se non del mondo, potrebbe serenamente spegnersi nel suo crescente marasma. Si tratta allora di vedere, prima di rassegnarsi del tutto, se il siciliano qualsiasi, con azioni individuali in controtendenza, può immettere qualche granello di speranza nel sistema. Quanto a buona volontà, operano già splendidamente diversi gruppi di volontari. Ce ne sono di davvero indispensabili, che risolvono problemi vitali ai quali i governanti e spesso la stessa società voltano le spalle. Ma che succede se scendiamo di scala? I semplici individui, agendo anche da soli e in minuscoli ambiti, possono cambiare il corso degli avvenimenti? C’è l’imbarazzo della scelta per i minimi gesti costruttivi che ciascuno può compiere. E per di più sembra che in questo campo funzioni una produttività speciale, per cui ogni fatto positivo ne innesca una moltitudine di altri, e un quasi insignificante gesto di vicinato, di quartiere, può propagarsi ampiamente, come il battito d’ali di farfalla che genera agli antipodi un vento d’uragano. Perché non provare, dunque, a porsi la domanda kennedyana: cosa posso fare io (nel mio piccolo) per la Sicilia? A questo punto scusate se passo alla prima persona singolare, ma qui la questione diventa – appunto – singolarmente personale. Abito vicino a un vialone che ha per spartitraffico una fila di fioriere in cui, anni fa, il Comune aveva fatto mettere a dimora delle piantine. Nulla di costoso, una manciata di euro, però le piantine durarono, come le rose, l’espace d’un matin, o pressappoco. Molte le rubarono nel giro di alcune ore, e le altre in alcuni giorni: c’è sempre chi ritiene res nullius la roba pubblica e, potendo, se ne appropria. Ebbene, adesso, in attesa di idee migliori per un mio contributo alla Sicilia, mi impegno a mettere una piantina in una fioriera e a curarla, finché dura. Ruberanno pure quella, probabilmente, ma in tal caso fin d’ora la considero un mio dono all’eventuale ladro. Al quale ladro chiederei però, come suo generoso contributo kennedyano, di attendere un po’ prima di commettere il furto, di non sottrarre subito allo sguardo dei passanti il modesto decoro di una fioriera abbellita per una Sicilia sfiorita. Diamoci una scadenza, caro signor ladro: aspetti fino a quando crocettiani, renziani, cuperliani e consimili non avranno stabilito il prossimo giro di poltrone. Così, al confronto con loro, lei e io avremo fatto insieme qualcosa di più utile per la nostra Regione.

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