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Da Gela a Roma fino alla Germania, ecco gli affari del clan Renzivillo

Di Redazione |

Il mercato ittico siciliano, il traffico di droga tra l’Italia e la Germania, il settore agro alimentare di Roma, le collusioni con colletti bianchi e pezzi dello Stato infedeli: il blitz contro il clan Rinzivillo di Gela, storico alleato dei Madonia e dei Corleonesi di Totò Riina, coordinato da due procure ed eseguito da oltre 600 appartenenti a tutte e tre le forze di polizia, è l’ennesima conferma di quanto la mafia sia ancora in grado di condizionare pezzi dell’economia italiana.

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«Le mafie sparano di meno ma investono e riciclano molto di più, si sono allargate e hanno sviluppato attività in Italia e nel mondo – sintetizza il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone – Per fermarle serve dunque un lavoro d’intesa che coinvolga tutti».

L’indagine, iniziata tre anni fa, ha portato complessivamente a 37 arresti, di cui due ai domiciliari, tra la Sicilia, il Lazio, la Lombardia, il Piemonte, l’Emilia Romagna e la Germania. Due i provvedimenti, in cui si ipotizzano reati che vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione, dal traffico di droga all’intestazione fittizia di beni, dall’accesso abusivo a sistemi informatici al concorso esterno in associazione mafiosa: uno della Dda di Roma, l’altro della procura di Caltanissetta.

In manette anche quello che investigatori ed inquirenti ritengono l’attuale reggente del clan, Salvatore Rinzivillo. Uscito dal carcere di Sulmona dopo aver scontato una condanna per mafia, il presunto boss si era stabilito a Roma. Qui aveva intessuto una serie di relazioni e faceva gli interessi del clan, seguendo le direttive dei fratelli Antonio e Crocefisso, attualmente detenuti al 41 bis. E nella rete di relazioni di Rinzevillo c’erano anche l’avvocato romano Giandomenico D’Ambra, trait d’union tra mafiosi e professionisti, definito dal gip “archetipo dell’esponente della ‘area grigià», e due carabinieri, Marco Lazzari e Cristiano Petrone, il primo all’epoca dei fatti contestati in servizio in una delle agenzie d’intelligence, il secondo al Ros.

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Tutti e tre sono finiti in carcere: il legale e l’ex 007 con l’accusa di concorso esterno, il carabiniere con l’accusa di accesso abusivo ai sistemi informatici (reato contestato anche a Lazzari). Secondo l’accusa i militari avrebbero fornito al boss informazioni relative alle vittime delle estorsioni e alle loro attività commerciali. Lazzari, inoltre, avrebbe anche gestito i contatti con gli altri affiliati del clan, tra cui un esponente in Germania. Ma non solo: l’ex 007 avrebbe anche effettuato una serie di sopralluoghi al Cafè Veneto, in via Veneto a Roma, nell’ambito di un’estorsione al titolare Aldo Berti – che poi ha denunciato la vicenda – che ha portato l’imprenditore a versare al clan 180mila euro.

«E’ una delle operazioni più importanti degli ultimi anni contro un clan dedito a tutte le attività tipiche delle organizzazioni mafiose – ha detto il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Franco Roberti – C’è stato una sinergia straordinaria tra le forze di polizia che è difficile vedere in altri casi». Per il presidente dell’Antimafia Rosy Bindi la maxioperazione «è una bella dimostrazione dell’efficacia del nostro sistema di contrasto».

L’organizzazione, secondo le indagini, aveva un’ala militare, che si occupava sostanzialmente del traffico di droga e delle estorsioni, e un’ala imprenditoriale, cui spettavano gli investimenti in edilizia, commercio e acquisizione di beni. In Sicilia, dove Salvatore Rinzivillo aveva stabilito contatti con le altre famiglie mafiose palermitane, trapanesi e catanesi, i principali interessi erano sul mercato ittico mentre nel Lazio l’organizzazione aveva messo le mani sul Car, il mercato ortofrutticolo di Roma, entrando con i soliti mezzi: prima l’estorsione agli operatori presenti e successivamente l’imposizione di prezzi e forniture a tutti gli altri. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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