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L’ultimo saluto a Dario Chiappone. La madre: «Mio figlio era un bravo ragazzo»

Di Mario Previtera |

Giarre (Catania) – «Mio figlio non era un delinquente. Era un bravo ragazzo». Un urlo forte, chiaro che squarcia il silenzio surreale quello di una mamma straziata dal dolore, sorretta dai familiari, nell’attimo in cui da casa esce la bara di Dario Chiappone, il 27enne brutalmente ucciso a coltellate, la sera di “Halloween”, in via Salvemini, un budello di strada alla periferia di Riposto. Occhi gonfi di lacrime coperti da grossi occhiali neri, volti scuri. Decine di giovani con lo sguardo perso.

Il feretro di quel ragazzo che in molti hanno conosciuto nella pizzeria di via Manzoni che gestiva insieme ad uno di fratelli, sfila lentamente nel quartiere residenziale di Giarre. Un breve corteo fino a raggiungere la vicina chiesa Gesù Lavoratore dove nel  pomeriggio sono stati celebrati i funerali. Ad accompagnare la bara i numerosi amici di Dario, quelli che con lui hanno condiviso le uscite, i momenti spensierati, il lavoro. Durante il tragitto, prima di arrivare davanti al sagrato della chiesa, la bara è stata più volte sollevata al cielo, un gesto accompagnato da un fragoroso e intenso applauso.

Nell’omelia del parroco, don Antonio Pennisi, parole struggenti. E anche paragoni e precisi richiami di alcuno passaggi del Vangelo. Come la crocefissione di Gesù. «Ingiustamente messo in croce, anche lui viene giustiziato ingiustamente e, senza alcuna prova, lo hanno ucciso». Inevitabile il collegamento con le modalità con cui è stato assassinato Dario Chiappone: ferito a morte con 16 coltellate all’addome e al torace, costretto ad inginocchiarsi e infine sgozzato. Il parroco si è rivolto agli assassini e ha invocato Gesù perché abbia «misericordia di loro, perdonandoli anche se hanno operato il male. Perchè in fondo – ha concluso il prelato – sono più morti coloro che uccidono che quelli che sono uccisi».

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