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Quando Giovanni Brusca chiese «scusa a tutte le vittime della mafia»

Di Redazione |

«Chiedo perdono a tutte le vittime della mafia». Era il 7 febbraio del 2019 e il “verru”, l’ex boss mafioso Giovanni Brusca, stava deponendo a Roma al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Dopo una deposizione fiume, lunga oltre 5 ore, il collaboratore di giustizia, che ieri sera, dopo 25 anni di detenzione, ha lasciato il carcere, ha chiesto scusa.

E ha raccontato il momento della “svolta”, cioè del giorno che gli ha cambiato la vita, dopo l’incontro con Rita Borsellino, sorella del giudice Paolo, scomparsa nell’agosto 2018. Quel giorno ha chiesto scusa anche allo «Stato e alla società civile».

Subito dopo la strage di via D’Amelio, il 19 luglio 1992, Brusca esclamò: «Presto hanno fatto». L’ex killer, che uccise oltre 150 persone, si era messo a disposizione ma fu escluso dal progetto di morte sul quale stava lavorando il boss Giuseppe Graviano.

«Sono diventato un mostro per dare l’anima a Cosa nostra. A un certo punto mi sono domandato: a che cosa è servito fare tutto questo?», ha detto quel giorno. Poi l’incontro con Rita Borsellino. «Una giornata memorabile per me, alla presenza di mio figlio e mia moglie. Ho capito lo sforzo che aveva fatto questa persona nell’incontrare me. Cercava giustizia nei confronti del fratello».

Ha anche detto di avere pregato nella solitudine della sua cella dove «per sua scelta ha deciso di vivere in una sorta di 41 bis volontario, rinunciando ad avere contatti con chi ha vissuto il suo passato».

Quel giorno, durante la deposizione, Brusca parlò anche del falso pentito Vincenzo Scarantino ribadendo la sua inattendibilità per la strage di via D’Amelio. «Lui non c’entrava nulla», ha detto. «A quanto pare era stato maltrattato, malmenato, erano discorsi che giravano, da Biondino a Di Trapani, giravano queste voci insomma – ha detto riferendosi a Scarantino -. Aveva subito minacce da parte delle forze di polizia o in carcere, non lo so con certezza, si parlava di maltrattamenti. Mi ricordo che mi raccontarono che la polizia lo voleva buttare giù da un elicottero in volo, cercavano di intimorirlo, questo era il senso».

Lui non partecipò alla strage del luglio 1992 ma ricordava che Totò Riina, discuteva di un “papello”, un foglio, con le sue richieste per fermare le stragi che stavano insanguinando la Sicilia e l’Italia: «Lì ho capito che avevo venduto la mia anima a Cosa nostra per nulla. Dopo la strage di Capaci – ha raccontato – ho incontrato Riina, saranno passati 8-10 giorni. Riina mostrava soddisfazione per aver tolto dalla scena Andreotti che voleva diventare presidente della Repubblica. Quest’incontro è avvenuto dietro Villa Serena».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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