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Casa Cupiello senza Eduardo? Respira di teatro anche in tv

Di Carmelita Celi |

CATANIA. Che ne sarà del teatro dei De Filippo senza i De Filippo? «Ma i De Filippo sono autori prima che attori! Le loro commedie continueranno a vivere attraverso le compagnie che le metteranno in scena!» Risoluta e garbatissima la replica di Luigi De Filippo, figlio di Peppino.

E non aveva torto. Tutto sommato – lo hanno dimostrato Sergio Castellitto e Marina Confalone (nella foto) diretti da Edoardo De Angelis, e andato in onda su Raiuno – fare “Natale in casa Cupiello” senza Eduardo si può. Ciascuno a suo modo per dirla con Pirandello di cui Eduardo si pregiava d’essere coevo e “collega” (dato, quest’ultimo, da cui dissentiamo risoluti e garbatissimi come Luigi). Unicuique suum. A ciascuno il suo “Natale” con buona pace degli inchini al totem da cui non è immune Castellitto benché dire che Luca Cupiello sia come Amleto ed Eduardo sia lo Shakespeare dei diseredati sia un po’ troppo.

Tuttavia la commedia (1931) striata di farsa e melodramma, replicata a ripetizione quale attesissima strenna natalizia (come “Amahl and the night visitors” di Menotti in onda ogni Natale in Usa) ha ancora il suo perché come poche altre (Eduardo non è carne di porco, del corpus drammaturgico si può lasciar perdere qualcosa) in testa “Napoli milionaria!” e “Filumena Marturano”.

I perché? L’adulto-bambino che si rifiuta di guardare in faccia la realtà ma ne avverte le “imperfezioni” («Ci rinuniamo…ci riomeriamo…ci rinueiamo…», non cè verso di dire “riuniamo” per Luca), le famiglie sgangherate ma imbellettate come Ninuccia e facoltose come Nicolino, gli strazi quotidiani e patologici (Pasquale, scomodo “ospite pagante”, Nennillo, forse reduce da una innominata meningite che all’epoca imperversava), nelle donne lacerate e forti come Concetta, capofamiglia malgré lui. E poi ‘o presepe, presunto collante d’effetto e d’affetto che ci mette poco ad andare in frantumi.

Marina Confalone e Sergio Castellitto

Di cocci infatti è cosparsa la scena voluta da De Angelis che tratta la commedia come un film attribuendone il soggetto ad Eduardo e a sé stesso la sceneggiatura. E’ una casa “vera” con profondità più generose di un palcoscenico in cui c’è persino spazio per una sorta di bordello alla buona. S’intravede appena, in apertura, mentre la camera tallona Concetta, imbacuccata da “scialline”, verso la camera da letto di Luca per la leggendaria scena del risveglio tra caffè, “culonnetta” e «Fa freddo fuori, Cuncé?» En passant, tra neve “vera” e l’immancabile ciaramella sulle note di “Tu scendi dalle stelle” (più avanti sostituita dall’originale, “Quanno nascette ninno”, con le musiche percussive e catturanti di Enzo Avitabile) si scorge un soldato di colore con una prostituta, in vago odore di “La pelle” di Malaparte. E negli anni ’50, infatti, (ri)vive la vicenda.

Lunga treccia sulle spalle poi accomodata a “rullo” come la moda del secondo dopoguerra, cantilena infreddolita, Marina Confalone offre una strepitosa prova d’attrice. E con un precedente ingombrante, amato alla follia, che si chiamava Pupella Maggio. Ebbene, Marina-Concetta (già attrice talentuosa di tanti allestimenti di Eduardo, impagabile in “Le voci di dentro”) è qui altissima artigiana di pianto e sarcasmo, tracanna rosolio e cha-cha-cha disincantata e vulnerabilissima, credibile sempre e mai “macchiata” di naturalismo.

Edoardo De Angelis (il regista) e Sergio Castellitto sul set 

Suo contraltare è il marito-figlio Luca a cui Sergio Castellitto dà, all’inizio, un piglio filosofico finanche ieratico che, nell’originale, aveva tratti infantili: fanciullo invecchiato, allunato, incredulo era Eduardo, saggio, serioso, “adulto” è Castellitto che sembra rinunciare al côté farsesco e melodrammaticamente ludico della commedia. Ma l’interpretazione è felicemente coerente, ben coesa a gesto e verbo che ne giustificano carattere, ira, fragilità. Legittima è la “metabolizzazione” dell’ictus: non stralunato ed istrionico come Eduardo ma sinistro e sospettoso come chi sa di dover lasciare la vita.

Intorno a loro non l’indigenza dell’originale ma una discreta disponibilità d’arredi e di strufoli ed un cast che regge bene la sfida salvo isterie in eccesso e reiterato fracasso di piatti rotti: Adriano Pantaleo (Nennillo), Pina Turco (Ninuccia), Antonio Milo (Nicolino), Tony Laudadio (Pasquale), Alessio Lapice (Vittorio).

Un “Natale” assai più (con)vincente del “folk” contemporaneo di Massimo Ranieri (improbabile e indifendibile la “Filumena” in italiano) e persino del De Sica minore e piacione di “Matrimonio all’italiana”. E in tempi in cui per l’arte e gli artisti il Ministero diventa il Covid-20, a noi ci piace ‘o presepe.

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