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Crisi di governo, D’Alia: «Io nuovo volenteroso? Stimo Tabacci, ma la cosa non mi riguarda»

Di Mario Barresi |

D’Alia, ma cos’è questa crisi?

«Una crisi di governo. Che non è una cosa nuova. Ma che stavolta nasce da una situazione straordinaria, la pandemia. Anche se può sembrare singolare per gli eccessi di chi l’ha aperta, Renzi pone un problema serio: il Paese è attrezzato a gestire la ripresa? Sul tavolo ci sono risorse pari a 10-15 leggi finanziarie, in gioco c’è il futuro di una generazione sconvolta come quella dei nostri padri. Ma almeno loro conoscevano il nemico oggi invece invisibile ai nostri figli».

E come finirà, secondo lei?

«Mi auguro con un governo più forte. Penso che il ritorno alle urne, che il centrodestra chiede per mera esibizione muscolare, sarebbe un macigno sul futuro. La migliore soluzione possibile, un governo di solidarietà nazionale forte e coeso con tutte le forze in campo, mi pare un’ipotesi improbabile. Se Conte, che apprezzo sinceramente per come è riuscito a navigare in un mare in tempesta da profano della politica, non è riuscito a trovare i numeri isolando Iv, ora la soluzione è una maggioranza più ampia con un programma più solido ed efficace».

E qui saranno decisivi i “volenterosi”. Che, ci dicono, la corteggiano per salire sul «treno che passa ora».

«La ringrazio per l’affettuoso riferimento al corteggiamento, ma non mi ha chiamato nessuno. Nemmeno Tabacci, un politico di grande valore a cui mi legano ottimi rapporti. Quella dei volenterosi è una legittima operazione parlamentare. E non mi riguarda perché non sono in parlamento, Per mia scelta, sono fuori dalla politica. Un partito è un’altra cosa».

Il partito moderato di centrosinistra, per lei, sarebbe un abito su misura.

«È nota la mia simpatia per il centrosinistra, che in Sicilia ha vinto le Regionali l’unica volta quando ero segretario dell’Udc. Ma ci vorrebbe un partito vero, come quelli dal Dopoguerra alla caduta del muro di Berlino. Un partito di centro interclassista, nella società che da liquida è diventata gassosa, sarebbe utile al Paese. È una grande ambizione, ma non ci sono le condizioni immediate, al netto dello sforzo encomiabile di chi ci sta provando».

È tornata di gran moda l’Udc. Da uno a dieci quanto ha gongolato per i guai di Cesa, che la cacciò dal partito?

«Zero. Sono rammaricato da una vicenda dalla quale, conoscendolo, uscirà estraneo. L’Udc sarà utile alla causa dal punto di vista parlamentare, per il simbolo e per i senatori e i deputati. Ma ripeto: questa operazione, dignitosissima, avrà un respiro solo se non sarà solo di ceto politico».

Anche in Sicilia, fra “Carta dei valori” e nuova Dc di Cuffaro, ci sono rigurgiti centristi. Che però strizzano l’occhio al centrodestra. Che giudizio dà ai tre anni di governo Musumeci?

«Conosco poco le pur meritorie iniziative siciliane, che però mi sembrano una legittima difesa di un ceto politico orfano di riferimenti nazionali nel centrodestra. Su Musumeci vale il discorso iniziale: da persona perbene ha dovuto gestire qualcosa più grande di lui. E il Covid ha dimostrato un limite suo e dei predecessori: non hanno il controllo della struttura amministrativa della Regione. Il non aver saputo trasformare gli indirizzi alla burocrazia in atti controllabili e adeguati ha condizionato anche la risposta alla pandemia in Sicilia. E così Musumeci, per fuggire dalle sue responsabilità, troppo spesso l’ha buttata in caciara».

S’immagina il Covid con Crocetta?

«Probabilmente la situazione sarebbe stata identica…».

Alle Regionali 2022 s’invoca il suo sindaco: De Luca. Un sogno o un incubo?

«Conosco Cateno da quando aveva i calzoncini corti. Era compagno di classe della buonanima di mio fratello, frequentava casa mia e ha iniziato a far politica con mio padre. Lo conosco nei pregi: grande forza di volontà e organizzazione lo rendono un buon amministratore. E lo conosco nei limiti: la sindrome dell’uomo solo al comando, col narcisismo e l’autoreferenzialità. Io De Luca continuo a preferirlo in versione da buon governo anziché da corda pazza».

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