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Recovery Plan, in Sicilia sono i giovani la risorsa più strategica del cambiamento

Di Giuseppe Notarstefano* |

La qualità della vita democratica è certamente misurata dal grado di partecipazione dei cittadini all’elaborazione delle politiche pubbliche. Esse infatti sostituiscono di per sé un approccio innovativo rispetto alla tradizione politica del nostro Paese (e della nostra Regione in particolare). Con il termine politiche pubbliche infatti si suole identificare un approccio alla politica che “nasce” e si sviluppa a partire dai problemi e dalle sfide di una società. Tali questioni sono particolarmente complesse soprattutto nell’era della globalizzazione dove – come ci insegna il magistero del papa – «tutto è connesso» e particolarmente in questa fase della vita del mondo alle prese con una pandemia che sta mettendo in discussione prassi e regole della vita comune, per non parlare dei problemi di ordine sanitario e sociale che da essa sono determinati.

Alla complessità non si può sfuggire, tuttavia la politica è chiamata proprio alla responsabilità di individuare obiettivi e priorità, di metterli in ordine non solo in ragione di urgenze ed emergenze, e di “organizzare” le risorse necessarie (finanziarie ma non solo) per raggiungere tali obiettivi.

L’iniziativa che alcuni colleghi ed amici hanno voluto promuovere su questo giornale, in ordine all’utilizzo dei Fondi straordinari per la ripresa, programmati dalla Commissione Europea, è quanto mai necessaria e opportuna. In primo luogo per aiutare le forze politiche di governo e opposizione a mettere a tema della loro agenda l’elaborazione di una visione da cui derivare criteri necessari per non rischiare che le iniziative siano solo un elenco confuso ed affrettato di vecchie e nuove emergenze.

Un po’ come è capitato in questi anni in Sicilia a proposito di politica di coesione e di Fondi Strutturali che – dobbiamo affermarlo con decisione e chiarezza – sono stati un’occasione perduta, certamente a motivo delle incertezze finanziarie che provenivano dai governi nazionali, ma anche per una difficoltà da parte delle diverse autorità di gestione di fare scelte coraggiose e davvero lungimiranti per la regione. L’inerzia del circuito della spesa improduttiva e un drammatico “brain drain” (fuga di cervelli) sono gli esiti dovuti alla mancanza di visione da parte di tutte le forze politiche e dei governi regionali che si sono susseguiti in questi ultimi venti anni, nonché la misura della loro incapacità di orientare l’amministrazione nel suo complesso verso obiettivi di medio-lungo periodo.

Ma del resto – diceva l’economista britannico tornato di moda negli ultimi mesi J. M. Keynes – «nel lungo periodo saremo tutti morti!», In secondo luogo lavorare bene alla definizione di criteri e priorità strategiche è oggi la questione più importante: un compito da assumere tutti insieme e ciascuno dal suo specifico punto di vista, cittadini, amministratori locali, forze sociali, imprenditori, intellettuali e ricercatori.

Ciò che abbiamo di fronte, ce lo ricorda il legislatore europeo, è una vera e propria transizione ecologica e soprattutto una programmazione generativa che pensi in particolare al futuro delle giovani generazioni (Next generation EU).

Ritengo pertanto fondamentale immaginare che la Sicilia in particolare, terra in cui si incrociano drammaticamente due flussi per certi versi simmetrici (emigrazione dei giovani con elevato titolo di studio e immigrazione soprattutto giovanile dall’area del Mediterraneo), soprattutto per voce delle sue istituzioni e classi dirigenti, sappia utilizzare questa occasione per proporre un’inversione della rotta. La transizione ecologica è anche, forse principalmente, una trasformazione culturale sociale e produttiva, che deve iniziare in primo luogo con il riconoscimento della risorsa più strategica per tale cambiamento: i giovani.

Non solo favorire il loro ascolto in modo organizzato, coinvolgendo scuole, università e associazionismo giovanile non con meri momenti di consultazione, ma attivando partecipazione e protagonismo. Penso che sia il tempo giusto, in questa fase in cui le suggestioni del “south working” e le tantissime esperienze di imprenditorialità giovanile in tanti settori, e soprattutto nel campo dell’innovazione sociale, ha permesso di far emergere una generazione desiderosa di misurarsi con le grandi sfide che ci sono poste davanti.

Occorrerà certamente non lasciare nessuno indietro, coinvolgere chi vive nella periferia anche perché spesso il cambiamento autentico sboccia nelle aree di più profondo disagio come resilienza alla marginalità. Ascoltare i giovani, coinvolgerli, fidarsi della loro prospettiva sono i primi passi di un futuro che è gia iniziato. Non dobbiamo consentire che la Sicilia rimanga invischiata nelle sabbie mobili dell’inerzia, del cinismo e della visione corta. Non rassegnamoci al gattopardismo e alla mafiosità. Siamo migliori, i giovani siciliani sono già migliori. Fidiamoci di loro.

*docente di Statistica Economica alla Lumsa di Palermo

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