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Il boss: «Ad Acireale stampai da solo la mia cartà d’identità»

Il boss: «Ad Acireale stampai da solo la mia cartà d’identità»

Dalle ditte di servizi ai falsi documenti, dalle carte del blitz contro i Laudani emergono i comportamenti illeciti della potente cosca catanese

Di Concetto Mannisi |

CATANIA – Ci sono altri episodi importanti, relativi a quanto è avvenuto e forse avviene ancora in alcuni enti pubblici, che sono stati riferiti agli inquirenti da Giuseppe Laudani e dagli altri collaboratori di giustizia che hanno contribuito al blitz “Viceré”, quello che ha portato agli arresti 105 soggetti ritenuti affiliati, vicini o favoreggiatori del clan dei “Mussi ’i ficurinia”. Una questione riguarda, ad esempio, l’ospedale Cannizzaro. Ne diamo atto ricordando che l’indagine copre il periodo compreso fra il 2010 e il 2014, tenendo anche presente che Giuseppe Laudani riferisce di essere subentrato nell’affare fra il 1999 e il 2000, dopo il matrimonio fra il fratello Alberto e Agata Militello, il cui padre, Orazio, porta un dono alla famiglia.

«Nell’ospedale Cannizzaro – riferisce Laudani. ci lavora la maggior parte della famiglia Zuccaro. Tutti gli infermieri là, appena entra al pronto soccorso. Gli infermieri o, come si chiamano, la ditta delle pulizie. Non è una casualità, perché tutte queste cose, compreso i posti di lavoro, erano gestite da loro; da Orazio Privitera che era in galera, ma lo faceva tramite i familiari, e dagli Zuccaro».

Il collaboratore ricorda di essersi incontrato in una sorta di riunione propedeutica al loro ingresso nell’affare in casa degli Zuccaro, a San Giovanni Galermo, e quando il magistrato chiede come mai Privitera e gli Zuccaro non si fossero opposti a questa nuova situazione, in cui i Laudani si sedevano alla tavola imbandita senza avere contribuito in alcun modo al pranzo, beh, la risposta di Pippo è per certi versi disarmante. A testimonianza che nella criminalità organizzata ci sono logiche spesso davvero singolari: «Perché Orazio Militello, che lavorava là dentro come infermiere, era parente diretto con mio fratello. E quindi la famiglia subentrava automaticamente».

Per anni, Privitera, Zuccaro e i Laudani si sono spartiti la torta. Con alternanza perfetta, un anno investiva energie nell’affare un gruppo e gli altri due si limitavano ad intascare i proventi, l’anno successivo toccava all’altro e quello dopo all’altro ancora. Non ci sarebbero mai stati problemi di spartizione. Forse qualcosa al Cannizzaro non ha funzionato sempre bene, ma quella era una questione che ai clan non interessava affatto.

Altro episodio non meno inquietante riguarda l’Ufficio anagrafe del Comune di Acireale, là dove Giuseppe Laudani, in compagnia di Giuseppe Fichera (fratello del reggente Camillo, che nonostante il 41 bis continua a impartire le proprie direttive dal carcere), si comporta come se fosse a casa sua, stampandosi una nuova carta d’identità. Ciò stando alle dichiarazioni dello stesso: «Fichera e i suoi erano fortissimi nella gestione di una casa da gioco e nell’usura. Spesso mi zia Mariella (Scuderi, arrestata nel blitz, ndc) mi consegnava del denaro da far “investire” a loro. Fichera si occupa del Comune di Acireale. E’ totalmente là dentro. Quando io sono andato a farmi la carta d’identità per la sorveglianza speciale ad Acireale (siamo intorno al 2004, ndc), me la sono battuta io direttamente. Ci siamo andati insieme, siamo passati al di là del banco, ci siamo presi delle Carte d’identità, abbiamo preso e ce ce la siamo battute. Poi ci siamo messi a girare per gli uffici. Perché lui conosceva tutti là dentro. Sia lui sia Bastiano Granata». Il paradosso si registra quando il Laudani si avvede di una ragazza in coda: «Abbiamo preso questa ragazza, l’ho conosciuto, l’ho fatta girare là dentro e abbiamo fatto anche noi i documenti. Entravamo, uscivamo, facevamo quello che volevamo».

Tristi anche i racconti che riguarderebbero alcuni rappresentanti dell’Arma. Dopo il trasferimento della sorveglianza speciale da Chiaramonte Gulfi ad Acireale, il Laudani, grazie ai buoni uffici dell’avv. Arcidiacono – così dichiara – entrerebbe in sintonia con alcuni carabinieri. Al punto che uno di questi annuncia l’arresto per violazione della sorveglianza speciale dell’allora boss alla stessa fidanzata del Laudani. Ciò fermandola in strada cinque giorni prima di quanto poi effettivamente accaduto: «Non ci ho voluto credere completamente – riferisce il pentito – Non me ne sono andato per questo motivo». Un altro episodio riguarda il sequestro di auto su cui il sorvegliato speciale veniva non di rado sorpreso, pur non dovendo e non potendo trovarsi al volante per la revoca della patente: «Io chiamavo l’avvocato Arcidiacono, l’avvocato veniva, gli dava mille o duemila euro. Lui entrava in caserma, gli dava i soldi e le macchine non erano sequestrate». Laudani riferisce di dazioni di denaro frequenti verso alcuni uomini dell’Arma (ma non c’è prova che siano avvenute realmente). E riferisce che in un caso è stato fermato in compagnia di un altro sorvegliato speciale, riconosciuto e lasciato andare.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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