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‘Più esposte a coinfezioni, il 25% aveva anche Hiv e il 21% Epatite B’

Di Redazione |

Roma, 5 ott. (Adnkronos Salute) – Le donne in carcere si ammalano più degli uomini e hanno un rischio doppio di contrarre l’Epatite C rispetto ai detenuti maschi. È quanto è emerso da uno studio realizzato da Rose – Rete donne Simspe, i cui primi risultati sono stati presentati in occasione dell’Agorà Penitenziaria 2021, XXII Congresso nazionale della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe). Lo studio, coordinato da Elena Rastrelli dell’Uoc medicina protetta-malattie infettive dell’Ospedale Belcolle di Viterbo, ha affrontato le infezioni da Hiv ed Epatite C nelle donne detenute in 5 istituti penitenziari di 4 diverse regioni, che rappresentavano il 10% della popolazione femminile detenuta. I dati sono ancora preliminari, ma sono i più significativi mai prodotti a livello di popolazione femminile nelle carceri. “Da novembre 2020, 156 donne detenute sono state iscritte allo studio. Di queste – spiega Rastrelli – 89 (il 57%) erano italiane: l’età media era di 41 anni; 28 di loro (il 17,9%) facevano uso di sostanze stupefacenti per via endovenosa. Su 134 è stato effettuato uno screening con l’innovativo test salivare per l’Hcv, mentre per le altre è stato fatto per via endovenosa. Abbiamo riscontrato dati eloquenti: la siero prevalenza di Hcv riguardava il 20,5%, una cifra leggermente superiore rispetto alla prevalenza riportata nella letteratura internazionale più recente, nonché di due volte superiore rispetto al 10,4% del genere maschile. Inoltre, le donne avevano un’infezione attiva in oltre il 50% dei casi”. “La maggior parte delle pazienti risultate positive -spiega l’infettivologo Vito Fiore, dirigente medico dell’Unità operativa struttura complessa Malattie infettive e tropicali di Sassari – è stata colta di sorpresa: ciò evidenzia la necessità di un intervento mirato sulla popolazione femminile delle carceri, tanto più che oggi – ricorda Fiore – per l’Epatite C esistono terapie in grado di eradicare definitivamente il virus in poche settimane e senza effetti collaterali. Un altro dato interessante riguarda i pazienti coinfetti: su 84 detenuti maschi trattati con il progetto di microeradicazione dell’Hcv, solo 3 erano positivi anche all’Hiv. Tra le donne trattate nell’ambito di questo progetto, invece, quelle positive anche al virus che causa l’Aids erano ben il 25%. Inoltre, se tra gli uomini non vi erano casi di Epatite B, tra le donne ben 5, quindi il 21%, erano portatrici anche di questo virus. Possiamo dedurre – afferma l’infettivologo – che in carcere le donne sono più esposte degli uomini alle coinfezioni”. “Il numero limitato di donne detenute – afferma Sergio Babudieri, direttore scientifico Simpse – dovrebbe incentivare una maggiore attenzione, ulteriori servizi, una gestione sanitaria proattiva. In alcune carceri le donne sono poche decine di persone: in queste situazioni è possibile migliorare la sanità penitenziaria. Non possiamo attendere – conclude – che sia la detenuta a chiedere aiuto o ancor peggio commetta un gesto autolesionista, bisogna capire i bisogni dei singoli”.

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