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Giuseppe Guglielmino, l’imprenditore che andava in Porshe e sfidava i boss

Di Concetto Mannisi |

“Questa cosa – prosegue Guglielmino – l’ho discussa direttamente a Natale. Dei calabresi non ne puoi prendere affidamento: la testa ce l’hanno come il ferro. Però se ti prendono a benvolere se ne vanno a morire. Mi hanno detto che ci sono 50 famiglie. Però danni e cose non ne hanno fatti. Solo a Siderno, ma si sa chi è stato: hanno bruciato due furgoni e si è messo nei guai lui stesso”.

Questo perché all’attentatore qualcuno brucia altri mezzi. Pare che poi l’uomo si sia incontrato per un chiarimento col Guglielmino, chiedendogli un risarcimento di sedicimila euro, il valore dei furgoni bruciati. Da cabaret la risposta del catanese: “Allora me ne devi dare 34 tu a me, perché i miei valevano cinquantamila euro. Ci levo i 16 del suo danno…”.

Spregiudicato, rampante e con la faccia di bronzo, si diceva. Tanto da concedersi una retribuzione come sorvegliante della “Geo Ambiente”, che poi era amministrata da parenti stretti: la moglie Catia e il nipote Biagio Caruso. Un sorvegliante che, fra l’altro, andava in giro con una fiammante “Porsche Panamera” e che per anni, stando ad altra indagine della Guardia di finanza, con operazioni folli avrebbe mantenuto in vita l’azienda, nonostante questa fosse ormai decotta e aggravata, alla fine, da un passivo di 40 milioni di euro, 31 dei quali da versare all’Erario. Fra queste operazioni, il falso acquisto dalla Ital Service (ditta individuale intestata al Guglielmino) di autocompattatori per 1,5 milioni, poi inspiegabilmente rottamati poche settimane dopo l’operazione di compravendita. Alla stessa “Ital Service”, ancora, sarebbero stati versati 450mila euro, non si sa bene a che titolo, un anno dopo la chiusura dell’attività della stessa. A tal proposito, inutile provare a scrutare nei libri contabili dell’azienda.

Guglielmino, che almeno in un caso di minacce in Calabria sarebbe stato aiutato da Rosa Campagna, ex moglie di un affiliato alla ‘ndrangheta, prima di divenire la compagna di Turi Cappello (“se Cappello lo sa gli spara a tutti e due…”), era solito spiegare ai suoi interlocutori il suo pensiero in merito al pizzo da non pagare al di là dello Stretto: “Perché non è giusto – diceva – io ti faccio lavorare, la benzina nei furgoni, ti prendo il capannone senza fare niente. Cosa vuoi di più? Mi domandi i soldi? A me? E’ finita al contrario? Se poi ti debbo fare un regalo te lo faccio: per i bambini, i soldi dell’avvocato, la minchiata, se c’è qualcuno disagiato…. Ma deve essere una cosa mia di cuore. Prendi mille euro e glieli mandi. Domandare non ce n’è…”.

L’uomo, infine, viene ascoltato mentre spiega la strategia per entrare a Marcianise, nel territorio dei Casalesi: “Il ribasso l’ho scelto io. E’ assai, Ma se vogliamo entrare dobbiamo perdere. Poi in cinque anni recupereremo. Su 45 milioni di euro gli abbiamo fatto l’8%, mentre gli altri gli hanno fatto l’1 o il 2 al massimo. Tu fai l’8, perdi sei punti, ma in cinque anni li recuperi”. E poi, il colpo da maestro, rivelato in conferenza stampa dal procuratore Carmelo Zuccaro e dal sostituto Pasquale Pacifico: “Qui i soldi che si dovrebbero uscire non si escono. Trentamila euro al mese pagavano di estorsione. In un anno sono quattrocentomila euro risparmiati. In cinque anni due milioni. Quelli che abbiamo lasciato nel ribasso”. Chapeau, verrebbe quasi da dire se non si trattasse di mafia e di ladri di futuro, che affossano chi si sforza di rispettare le regole.

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