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Polizia ferma guerra di mafia Tre arresti, c’è un ex pentito

Polizia ferma guerra di mafia Tre arresti, c’è un ex pentito

Era tornato in città dopo avere rinunciato alla protezione e voleva tornare a comandare. Minacce agli imprenditori: «Pagate il pizzo o lanciamo false accuse nei vostri confronti»

Di Redazione |

Ex pentito di mafia, torna a Gela per riprendere il comando nella «cosca» e comincia a pianificare agguati ed intimidazioni nei confronti del nipote che aveva preso il suo posto. Una guerra di mafia all’interno del clan Rinzivillo che è stata bloccata dalla Squadra Mobile di Caltanissetta che ha arrestato tre esponenti di Cosa nostra gelesi. In manette sono finiti l’attuale reggente della cosca mafiosa, Davide Pardo, di 33 anni, lo zio, Roberto Di Stefano, di 46 anni, ex collaboratore di giustizia che voleva riprendere il suo posto di capo dichiarando guerra al nipote, e Nicolò Piero Cassarà, di 47 anni, fedelissimo del Di Stefano, tutti di Gela. Tutti e tre sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, traffico di droga, detenzione di armi e munizioni. Di stefano era rientrato a Gela all’inizio dello scorso mese di maggio ed avrebbe tentato con la complicità di Cassarà, di riprendere la guida del clan mafioso, nel frattempo occupata da Davide Pardo. Agguati e intimidazioni sarebbero stati studiati per raggiungere l’obiettivo. L’operazione antimafia è stata denominata «Fabula» ed è stata eseguita dalla squadra mobile di Caltanissetta, su ordine della Dda nissena che ha deciso i fermi per prevenire l’esplosione di una guerra interna per la conquista della leadership del clan. Secondo quanto è emerso Di Stefano era rientrato a Gela nello scorso mese di maggio, dopo un periodo di falso pentimento e mal sopportava che al suo posto alla guida del clan ci fosse il proprio nipote, figlioccio del boss «Ginetto» Rinzivillo. Avrebbe perciò messo in piedi un suo gruppo per riprendere il posto di comando, dichiarando guerra a Pardo, con il quale aveva rotto ogni rapporto fino a minacciare di morte la moglie e i suoi figli se non avessero abbandonato subito la casa in cui vivevano messa a disposizione del «nipote-nemico». Pardo, per tutta risposta avrebbe reagito facendo sparare colpi di pistola contro l’abitazione di Cassarà che ospitava Di Stefano. Nel corso delle indagini della squadra mobile, diretta da Marzia Giustolisi, è emerso che Cassarà, nella sua attività estorsiva, sceglieva come vittime «imprenditori gelesi che avevano “conti da saldare” con la giustizia scrivono gli inquirenti – facendo loro intendere di poter fungere da ago della bilancia per risolvere, o definitivamente compromettere, la loro situazione processuale», attraverso il ruolo di collaboratore di giustizia del Di Stefano, del quale millantava credito presso magistratura e forze dell’ordine. GLI APPROFONDIMENTI NELL’EDIZIONE IN EDICOLA

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