Il caso
Elena uccisa in diciassette minuti, ecco il perché la Corte d’Assise ha condannato Martina Patti
Depositate le motivazioni: la donna che ha ucciso la figlia deve scontare 30 anni
«Efferata violenza» e «sanguinaria azione». Sono solo alcune frasi che il presidente della Corte d’Assise di Catania Sebastiano Mignemi utilizza nelle 107 pagine di motivazioni della sentenza di condanna nei confronti di Martina Patti, la donna che ha ucciso con 16 coltellate, il 13 giugno 2022, la figlia Elena Del Pozzo. Poi inscenò il rapimento della bimba, che invece era già stata seppellita in un terreno a pochi passi dalla villetta di Mascalucia dove mamma e piccola vivevano assieme. Per i giudici l’imputata era «sorretta da un fermo dolo omicidiario».
Senza movente
Per i giudici d’Assise non si può parlare di un vero e proprio movente, i motivi del figlicidio va «ricondotto nell’alveo della decisione aberrante presa dalla Patti di non consentire che la piccola fosse al tempo stesso sofferente a causa della separazione e comunque fonte di “felicità” per altri oltre che per se stessa».I giudici vanno più in profondità. Un abisso inquietante quello che emerge dalla lettura della sentenza. Elena sarebbe stata una presenza ingombrante, un ostacolo. «Più che un vero e proprio movente in senso tecnico, la Corte reputa invece che – in modo inconfutabile – siano emerse dalla ricostruzione dibattimentale indicazioni dalle quali trarre la scaturigine della tremenda ed efferata condotta realizzata dalla Patti. Secondo questa Corte, in questa spirale di vita la figura della piccola Elena assume dei contorni “ingombranti”». L’analisi della Corte fa male al cuore. All’anima. « La bambina era – scrivono i giudici d’Assise – alla vista dalla Patti, da un lato come destinata col tempo ad avere una stabile presenza di un’altra figura femminile (la compagna del papà ed ex compagno) che l’avrebbe potuta “offuscare”, dall’altro si era dimostrata in qualche modo d’impaccio perché una relazione (quella con il nuovo fidanzato ) assumesse un carattere di stabilità e profondità».
Il filo rosso tracciato dai giudici
Un filo rosso quello tracciato nelle motivazioni. «Queste le ingiustificabili “ragioni” – secondo questa Corte – hanno mosso l’agire della Patti. Questo il complesso di fatti e circostanze che hanno fatto sfondo e “spiegano” la sua consapevole scelta di uccidere la bambina».Bocciato da tutti i punti di vista la tesi del figlicidio altruistico ipotizzato dalla difesa. «Nessun dato probatorio conferma la tesi della Patti relativa ad aver maturato l’idea di un omicidio/suicidio», scrive la Corte d’Assise che aggiunge: «La predisposizione e l’avvenuta utilizzazione di mezzi atti all’occultamento del cadavere stridono fortemente con l’idea che la Patti volesse suicidarsi dopo aver soppresso la piccola. Se a ciò si aggiunge l’assenza di qualsivoglia genere di gesto di autolesionismo si trae la totale infondatezza dell’assunto difensivo».
Uccisa in diciassette minuti
Elena è uccisa nell’arco di diciassette minuti. «Un tempo incompatibile per arrivare dall’auto al punto del campo dove avverrà l’omicidio, commettere l’omicidio, sistemare il corpicino della bambina già nei sacchi neri e scavare con una pala una buca di quelle dimensioni e poi sistemarvi la bambina e ricoprirla», concludono i magistrati respingendo la tesi, emersa nell’interrogatorio di Martina, di aver scavato con le mani.La pena alla fine è stata 30 anni. Quanto successo, scrive la Corte d’Assise, «descrive un vuoto morale da condannare senza tentennamenti». Ma i giudice reputano «concedibili le attenuanti generiche». E questo ha portato a infliggere una condanna a 30 anni. Ma questo caso giudiziario non è concluso. La difesa sta già preparando il ricorso in appello.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA