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Imprese: manuale per la ripartenza tra Dpi, sanificazioni e linee guida

Di Redazione |

Catania – In piena emergenza, fino a questo punto, le indicazioni di alcuni camici bianchi – soprattutto virologi, ma anche specialisti di terapia intensiva – sono state ascoltate con la stessa attenzione che si riserva agli oracoli. Ma adesso, nella caotica retorica della “fase 2”, c’è una categoria che non può essere lasciata in panchina. «Rimettere in moto il mondo produttivo e tutelare al contempo il benessere e la salute dei lavoratori», è l’idea dei “competenti”, nome tecnico che indica gli specialisti in medicina del lavoro.

Sono loro a costruire, per conto delle imprese, la “corazza”: bonifica dei luoghi di lavoro, protezioni individuali, codici di condotta per dipendenti e utenti. E dovrebbero essere sempre loro a consigliare le scelte della politica anche per «evitare i rischi di una recrudescenza del virus». Ma, nel secondo caso, in Sicilia non è ancora così se arriva un appello per «istituire un tavolo tecnico che abbia al suo interno i principali protagonisti del mondo del lavoro». A lanciarlo è Valentina Scialfa, “competente” del Policlinico di Palermo, oltre che responsabile delle strategie di medicina del lavoro in diverse aziende, pubbliche e private, a livello nazionale. «La Sicilia ha tutte le carte in regola per una strategia all’avanguardia rispetto a molte altre realtà», rassicura anche in veste di consulente della Regione. Non c’è nulla da inventare ex novo. Basterebbe partire da buone prassi, come le indicazioni operative su “Tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari” della Regione Veneto, in parte basate su una valutazione scientifica dell’Università di Padova. Misure che, illustra Scialfa, «si basano su tre approcci: comportamenti individuali, dispositivi di protezione e sanificazione degli ambienti», che, oltre a una severa applicazione interna, «devono essere estese anche ai possibili utenti esterni» (visitatori, fornitori, trasportatori, lavoratori autonomi, imprese appaltatrici), compreso «l’utilizzo della misurazione della temperatura corporea». Perché, sostiene il dossier del Veneto, «l’ingresso di un soggetto asintomatico nei luoghi di lavoro è un evento altamente probabile. È quindi necessario implementare procedure di screening, con l’obiettivo di impedire ai soggetti infetti di entrare in ambiente». Obiettivo «sicuramente raggiungibile solo se il tasso di infezioni asintomatiche trasmissibili è trascurabile, la sensibilità di screening è quasi perfetta e il periodo di incubazione della malattia è breve».

Un altro potenziale punto di proficua collaborazione fra gli specialisti di medicina del Lavoro e le strategie del governo regionale: lo screening disposto dall’assessore Ruggero Razza con i test sierologici, con priorità al personale sanitario, ma con precise prescrizioni per alcune categorie di lavoratori. «Tale procedura sarà principalmente di competenza delle Asp, ma si lascia la possibilità di effettuazione anche da parte dei professionisti sanitari privati». E in questa ottica i medici del lavoro, «potenziando la loro attività di consulenti dei datori di lavoro, potranno aiutarli nel formulare un protocollo interno a ogni azienda che si baserà anche sui risultati di tali test». Il tutto, però, «senza che ci siano spese aggiuntive per le aziende, già oberate da tantissimi altri costi per la sicurezza: fornitura dei dispositivi di protezione, sanificazione degli ambienti e misure di contenimento che contemplano anche la riorganizzazione degli spazi e degli uffici con riduzione del personale presente».

Per queste ragioni, e per altre ancora, secondo gli specialisti, è utile il tavolo regionale. Non un simposio di chiacchiere in libertà, ma un confronto tecnico fra rappresentanti «del mondo produttivo e delle principali parti datoriali», «delle principali sigle sindacali», con «uno o due esponenti autorevoli» degli Rls (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza), dei medici competenti e dei Rsppr (responsabili servizio prevenzione e protezione dai rischi) aziendali. «Ognuno di loro contribuirà, attraverso le proprie competenze, alla stesura di tale complessa procedura, che dovrà essere scevra di tecnicismi e invece molto vicina alle nostre realtà regionali», dettaglia Scialfa. «Ad esempio, attraverso la stretta collaborazione dei datori di lavoro con tutte le figure della sicurezza presenti al tavolo risulterà molto efficace – aggiunge – l’implementazione delle misure igienico-sanitarie per il contenimento delle malattie a trasmissione aerea». E il contributo degli specialisti del lavoro può andare oltre, «per consigliare e concertare azioni strategiche di prevenzione che possono comprendere, tra l’altro, anche una revisione o una temporanea modifica dei protocolli di Sorveglianza sanitaria a livello regionale e una diversa modalità di attuazione della stessa».

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