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Ecco perché la Sicilia uscirà dalla zona rossa: ma a Catania preoccupa Sant’Agata

Di Mario Barresi |

Sono quasi impercettibili. Eppure i segnali che arrivano da Roma – telefonate, qualche sms, un paio di pareri informali agli interlocutori giusti – sono univoci. Anche perché i dati decisivi per emettere il verdetto sono di fatto acquisiti, ancorché in rielaborazione per il calcolo degli indicatori. La Sicilia, dalla prossima settimana, dovrebbe tornare in zona arancione.

E non sarebbe, quella che molto probabilmente verrà assunta venerdì dalla cabina di regia nazionale, una decisione on demand. In parte c’entra – com’è stato per la zona rossa “anticipata”, seppur con un report dalle sfumature di colore meno gravi – il «cordialissimo rapporto istituzionale», così lo definiscono a Palermo, fra governo regionale e vertici sanitari romani, Iss e soprattutto ministero. E non è un caso che l’assessore Ruggero Razza, già virgulto della destra etnea, allevato da Nello Musumeci a pane e littorio, in queste ore faccia gli scongiuri affinché Roberto Speranza, il ministro più a sinistra del governo, resti al suo posto nel Conte-ter.

Ma ad alimentare la speranza (con la “s” minuscola) di scrollarsi di dosso la lettera scarlatta di unica regione in rosso sono soprattutto i numeri. Quelli della settimana fra il 18 e il 24 gennaio, decisivi per la scelta della nuova zona. Al netto degli algoritmi usati dall’Istituto superiore di Sanità per calcolare gli indicatori, i dati grezzi disponibili sono (quasi) tutti confortanti. I nuovi casi positivi nell’Isola sono stati 9.023, confermando un trend in discesa dal record regionale assoluto degli 11.217 (dal 4 al 10 gennaio) ai 9.819 della settimana successiva, sui dati della quale si è entrati in zona rossa. E anche la percentuale di tamponi positivi ( la settimana precedente sfiorava il 30% e 14 giorni fa era al 28,9%) è in discesa: il dato sul tavolo romano, seppur ancora da scremare, è del 23,1%. Se fosse confermato, si ridimensionerebbe una delle due “allerte di resilienza” segnalate dall’Iss.

In controtendenza, invece, il totale degli “attuali positivi” (la cifra che sarà presa in considerazione è 47.654, la più alta dall’inizio della pandemia), ma con i guariti in parallela ascesa, visto che il 24 gennaio s’è raggiunta quota 78.872, il 60% degli infetti, con un incremento settimanale di 7.557.

E questi ultimi elementi condizionano, a cascata, altre voci della “pagella” dell’Iss, a partire dal l’incidenza dei positivi ogni 100mila abitanti. Nell’ultimo report un preoccupante 443,06 (dal precedente 392,04), ora si stima una diminuzione. E poi la pressione sugli ospedali. Il tasso di occupazione nelle terapie intensive, ricalibrato sui dati degli ultimi giorni, si attesterebbe sul 27% (era il 26%), mentre nelle degenze ordinarie è al 34%, in calo di un punto; in entrambi i parametri, comunque, la Sicilia resta sotto le soglie d’allerta.

Alla Regione contano anche in un miglioramento del giudizio sul tracciamento, grazie anche alla messa a regime delle statistiche sui test antigenici, altro consolidata insufficienza dell’Isola, in cui fino all’ultimo monitoraggio 13,5 casi su 100 erano “sconosciuti”, per un totale settimanale di 5.116 nuovi casi «non associabili a catene di contagio note». Oggi, a Palermo, Musumeci e Razza faranno un’analisi dei dati disponibili. E magari prevarrà una stima ottimistica anche sul famigerato indice Rt (salito da 1.18 a 1.27 negli ultimi due monitoraggi), con più d’una ragione per pensare che il numerino magico di venerdì sarà più prossimo all’unità, quasi di certo sotto l’1.25 che condanna alla zona rossa.

Fin qui i dati, reali e di proiezione. Poi ci sono le strategie politiche. E qui il governatore, paladino delle strette ed evocatore di lockdown integrali, ha cambiato verso. Sollecitato da un chiaro vento che soffia sui social, ma messo alle strette soprattutto dalle proteste delle categorie produttive, commercianti e in testa. E ieri, accolto nella Palazzolo Acreide del sindaco leghista Salvatore Gallo, il ColonNello rosso accende gli altri colori del semaforo davanti ai ristoratori che occupano l’aula consiliare. «Si potrebbe andare il fine settimana in zona arancione, che per i ristoratori non cambia nulla, ma l’obiettivo è la zona gialla ad aprile. Tutti dobbiamo lavorare per pagare e soffrire qualche settimana adesso e per riaprire prima ad aprile».

Una prospettiva che s’incrocia, a brevissima scadenza con altri due dossier sul tavolo del governo regionale. Il primo riguarda la scuola. Roberto Lagalla conferma di voler riaprire, seppur col 50% di didattica a distanza, le scuole superiori siciliane dal 1° febbraio. E l’assessore all’Istruzione riceve pure una telefonata di «congratulazioni» dalla ministra pro tempore Lucia Azzolina, sullo screening per studenti over 14, docenti e personale annunciato dalla Regione. Si dovrebbe partire da venerdì, soprattutto se l’Isola tornasse in arancione.

Ieri una riunione a Palazzo Orléans della task-force regionale, presieduta da Adelfio Elio Cardinale, s’è fatto il punto della situazione. C’è l’impegno dell’assessorato alla Salute e di tutto il governo Musumeci – dice Lagalla – ad assicurare lo screening nei drive-in allestiti in tutta l’Isola e a continuare il monitoraggio negli istituti, con le apposite Usca scolastiche, dopo la ripresa». Confermato anche il «potenziamento dei trasporti urbani ed extraurbani in coincidenza con la riapertura, secondo i Piani provinciali elaborati e coordinati dalle Prefetture». La task-force ribadisce la raccomandazione di utilizzare le mascherine Ffp2 per i docenti di sostegno delle scuole di ogni ordine e grado e per gli insegnanti di infanzia e primaria.

Il secondo dossier sta molto a cuore a Musumeci e a Razza. Perché riguarda Catania. Che sarà messa a dura prova, in caso di addio alla zona rossa, dalla festa di Sant’Agata, ai primi di febbraio. L’arancione nei giorni della patrona viene considerato «una coincidenza pericolosissima» dal governo regionale. Nelle prossime ore, assodato il programma anti-assembramenti della festa, partirà un confronto con il sindaco Salvo Pogliese. Con la prospettiva di «misure più rigide» – anche su misura, persino ipotizzabili soltanto per i giorni-clou – per una Catania dove la devozione rischia di fare da detonatore alla pandemia.

Twitter: @MarioBarresi

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