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il processo

Open Arms: a rischio la deposizione di Richard Gere, il 12 gennaio tocca a Salvini

Il ministro è imputato di sequestro di persona per avere negato l'approdo della nave della Ong spagnola

Di Redazione |

Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini renderà l’esame davanti al tribunale di Palermo, che lo processa per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per la vicenda della ong spagnola Open Arms, il 12 gennaio prossimo. Lo ha deciso il collegio all’udienza di oggi.

Nel corso dell’udienza di oggi sono stati sentiti la tutrice di uno dei minori soccorsi dalla nave Open Arms ad agosto 2019. Salvini è accusato di aver illegittimamente negato l’approdo a Lampedusa all’imbarcazione della ong spagnola e ai profughi presi a bordo.

E invece’ a rischio la deposizione dell’attore americano Richard Geere. Uno dei legali ha fatto sapere che Geere, impegnato nelle riprese di alcuni film, avrebbe dato la sua disponibilità a comparire in tribunale tra febbraio e marzo, ma il presidente del collegio ha deciso di terminare l’esame dei testimoni di parte civile l’1 dicembre. Quindi se l’attore non verrà per quella data la sua deposizione sarà revocata. Richard Geere dovrebbe riferire di quando portò viveri e aiuti ai passeggeri della Open Arms in attesa che venissero autorizzati a sbarcare.

Il racconto

“Musa fu sottoposto in Libia a torture di tutti i tipi e gli effetti delle torture continuavano anche dopo il suo arrivo in Italia. C’erano momenti in cui perdeva la capacità di orientarsi. Lui fu torturato con colpi di bastone di legno e di ferro sulle piante dei piedi, un tipo di tortura che priva le persone della possibilità di camminare perché si frammenta la pianta. Ma subì anche le torture con elettrodi alle mani, ci mostrò i segni di queste ustioni alle mani. Oltre a violenze psicologiche di ogni tipo”. A raccontare le torture subite, durante la prigionia in Libia, dal minorenne Musa, uno dei 147 migranti arrivati sulla nave Open Arms è Sebastiano Vinci, psicologo dell’Asp di Palermo che ebbe in cura il ragazzo che rimase in prigione in Libia dai 13 ai 16 anni. “Vedere morire altri ragazzi o sentire le urla di chi è torturato sapendo che poi tocca a lui non è facile per un ragazzo – dice – Musa ci ha raccontato questo. Al di là dell violenze fisiche che ha subito”. Poi, lo psicologo ha anche raccontato le torture subite da un altro ragazzo, che però non era sulla Open Arms, “a cui gli aguzzini in Libia avevano tirato tutte le unghie con una tenaglia, una per una. E per ogni unghia tirata chiamavano la famiglia per avere dei soldi”. “E questo ragazzo non ha mai raccontato nulla. Lo abbiamo saputo solo successivamente”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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