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Via d’Amelio, l’ombra di un altro depistaggio: dal pentito Avola solo “frottole” e i pm chiedono l’archiviazione

Le rivelazioni del mafioso catanese non convincono il pool nisseno: da capire perché s’è inserito nel tunnel dei misteri

Di Laura Distefano Laura Mendola |

«Avvocato, se i magistrati non mi vogliono credere niente ci fa». Non sorprendono le parole di Maurizio Avola, il famigerato killer catanese, al suo legale storico Ugo Colonna. La spocchia è sempre stata un suo tratto distintivo, per sua stessa ammissione d’altronde. Il commento – raccontato a La Sicilia dallo stesso penalista – riguarda la notizia sulla richiesta di archiviazione avanzata dai pm di Caltanissetta al gip per l’ennesima inchiesta sulla Strage di via D’Amelio partita proprio dalle sue esternazioni, che poi sono state inserite nel libro del giornalista Michele Santoro “Nient’altro che la verità”. Anche se di verità, in quelle confessioni tardive – visto che Avola è collaboratore di giustizia dal 1994 – sembrano essercene ben poche. E alcune di queste mirabolanti rivelazioni hanno fatto saltare dalla sedia anche diversi pm catanesi, che conoscono bene il collaboratore per averlo più volte interrogato.

Il fato ha voluto che fosse il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone, uno del pool dello storico processo Orsa Maggiore che portò alla sbarra il gotha della mafia catanese, a raccogliere i primi verbali di Avola sull’eccidio avvenuto il 19 luglio di 31 anni fa. A gennaio 2019, a Roma, il pentito catanese si è presente al cospetto di Bertone e dei magistrati del pool stragi che era composto dall’aggiunto Gabriele Paci e da Pasquale Pacifico.

«Fece condannare Santapaola»

Sulle stragi ha sempre evitato di parlare «ma grazie alle sue rivelazioni è stato condannato Nitto Santapaola dopo il rinvio dalla Cassazione dopo l’assoluzione», tiene subito a precisare il difensore. Leggendo le motivazioni della Suprema Corte però non emerge questa ricostruzione, gli ermellini hanno condannato Santapaola come concorrente morale, in quanto assodata la sua appartenenza a Cosa nostra non si sarebbe mai opposto in maniera tangibile alla strategia stragista dei corleonesi. Insomma il silenzio-assenso avrebbe avuto un ruolo cruciale alla condanna all’ergastolo. Questo per dovere di cronaca.

Ma torniamo agli uffici della procura di viale Della Libertà a Caltanissetta, da anni ormai ombelico del mondo per i casi giudiziari più scottanti. Si pensi solo al processo contro il paladino dell’antimafia Antonello Montante.

Assenza di riscontri

Come si arriva all’istanza di archiviazione? I racconti di Avola sull’eccidio del giudice Paolo Borsellino e degli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina non hanno trovato alcun riscontro oggettivo dagli accertamenti investigativi sia di natura documentale che storica.

Ma che Avola stava raccontando bugie, i magistrati nisseni lo hanno certificato subito. La narrazione del collaboratore ai pm del pool delle stragi fa acqua da tutte le parti. Il 19 luglio del 1992 è un caldo pomeriggio di domenica «ed io ho incrociato il suo ultimo sguardo (Borsellino, ndr), poi ho dato il segnale ad Aldo Ercolano e sono fuggito prima che la bomba scoppiasse».

Il racconto

Un lungo racconto quello di Avola tra sopralluoghi tecnici e l’incontro il 17 luglio – due giorni prima della strage – in un appartamento nei pressi del garage di via Villasevaglios a Palermo «dove c’erano tanti pupazzetti rosa». Sotto quella palazzina Avola ci è andato con gli uomini della Dia di Roma e ha indicato i posti, ma – secondo quanto accertato – ha anche sbagliato. Ha parlato a ruota libera davanti a quel magistrato che nel 1994 gli ha fatto “cantare” gli omicidi ai piedi dell’Etna.

I suoi racconti hanno traballato subito. Come ha fatto ad essersi salvato da quella bomba se addirittura a incrociato lo sguardo del giudice? Chi è stato in via D’Amelio quel maledetto 19 luglio non ha alcun dubbio. E le bolla come “frottole” (anche se lo slang siciliano usato è molto più incisivo, ndr). Subito dopo la pubblicazione del libro di Santoro e della trasmissione di La7 la Procura di Caltanissetta ha inviato una nota stampa che hanno smontato la versione di Avola: «I conseguenti accertamenti non hanno trovato alcuna forma di positivo riscontro che ne confermasse la veridicità. Sono per contro emersi rilevanti elementi di segno opposto, che inducono a dubitare fortemente tanto della spontaneità quanto della veridicità del suo racconto. L’accertata presenza di Avola a Catania, addirittura con un braccio ingessato, nella mattina precedente il giorno della strage, là dove, secondo il racconto dell’ex collaboratore, egli, giunto a Palermo nel pomeriggio di venerdì 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi all’interno di un’abitazione sita nei pressi del garage di via Villasevaglios, pronto su ordine di Giuseppe Graviano a imbottire di esplosivo la Fiat 126».

Mai una condanna per calunnia

L’avvocato Ugo Colonna guardando il casellario giudiziario di Avola sottolinea che ha sempre goduto dell’art. 8 – quello che prevede gli sconti per i pentiti – e mai una condanna per calunnia. Avola per via D’Amelio si è autoaccusato e ha puntato l’indice anche contro Aldo Ercolano e Marcello D’Agata. E tutti e tre sono stati iscritti come indagati nell’inchiesta che ora è sul tavolo del gip per ricevere il timbro «archiviazione». Nel 1992 Avola scorazzava per le vie di Catania. Pochi mesi prima della strage di via D’Amelio – come ha rivelato anche Giuseppe Licciardello, conosciuto come pasticcino, Avola che con il braccio ingessato è riuscito a introdursi nella villa blindata dei fratelli Marchese, cugini del Buscetta catanese Nino Calderone e quindi del padrino catanese ammazzato nel 1978 Pippo cannarozzo d’argento, e li ammazza l’11 settembre mentre banchettavano.

“Carrambata” mafiosa

Il film di Cosa nostra che collega Catania e Palermo è stato servito, ma nella sceneggiatura sono saltati all’occhio alcuni dettagli inverosimili. Nonostante questo gli investigatori non hanno voluto lasciare niente al caso e hanno scavato. Ma non hanno trovato nulla che potesse aderire alla storiella infiocchettata da Avola. Per queste ragioni la procura nissena ha chiesto di archiviare questo capitolo. Ma in questa giostra potrebbe accadere una sorta di “carrambata” mafiosa. Una volta archiviato il fascicolo ci potrebbe essere un possibile faccia a faccia a Roma tra Aldo Ercolano e Maurizio Avola, in veste rispettivamente di parte offesa e di imputato, in un possibile dibattimento per calunnia.

C’è un passaggio però delle confessioni tardive di Avola che ha portato molta inquietudine. Perché il killer catanese ha insistito a voler sottolineare che la strage di via D’Amelio è stata solo una «cosa di mafia» e i «servizi segreti (anche deviati)» non c’entrano nulla. Addetti ai lavori non credono che sia stato imbeccato in stile Scarantino, però la puzza di un ultimo depistaggio qualcuno l’ha fiutata.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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