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Dove continua a vivere Don Pino Puglisi

Di Antonino Raspanti * |

Non credo affatto che don Pino Puglisi sia morto. Non lo credo affatto. Sappiamo che lo hanno braccato, aspettato, raggiunto: «Me l’aspettavo» disse lui e sorrise. Così racconta il suo assassino. Sappiamo che gli hanno sparato e lo hanno ucciso, ma io non dispero affatto del suo esistere ancora e concretamente. Anzi! Anzi rifulge. Anzi dispensa il suo sorriso disarmante. Anzi, e piuttosto. Piuttosto lo incontro ancora e spesso nelle scelte di tante comunità cristiane, nella vita di sacerdoti e in quella di laici, di uomini e donne che abitano in questa Sicilia, «così ricca di storia e crocevia di popoli e culture» come l’ha descritta il Papa scrivendo all’arcivescovo di Palermo proprio in occasione di questo trentennale della morte del beato don Pino Puglisi che celebriamo.

Il fatto è che ci sono due sponde: quella terrena e quella dello spirito, apertaci dalla fede. Noi siamo in mezzo, quasi “mischiati”. C’è il cammino tribolato e pesante che compiamo ogni giorno, quello all’interno del quale si è consumato il sacrificio cruento di don Pino Puglisi e all’interno del quale anche noi siamo costretti in trame complesse e scure. Ma in questo cammino s’intrecciano le due sponde, quella della morte e quella della vita, della morte che apre alla vita, come nella Pasqua di Cristo.

Il Pontefice ha ricordato le «numerose piaghe umane e sociali dell’ora presente, che ancora sanguinano e necessitano di essere sanate con l’olio della consolazione e il balsamo della compassione». Lo voglio citare per intero: «Sappiamo bene quanto don Pino si sia battuto perché nessuno si sentisse solo di fronte alla sfida del degrado e ai poteri occulti della criminalità; riconosciamo pure come l’isolamento, l’individualismo chiuso e omertoso siano armi potenti di chi vuole piegare gli altri ai propri interessi». Lo stesso Francesco ci indica l’antidoto: «La risposta – dice nella lettera per il trentennale – è la comunione, il camminare insieme, il sentirsi corpo, membra unite al Capo, al pastore e guida alle nostre anime». Non credete che sia già praticata? Magari non ancora pienamente, magari dobbiamo affinarci nella coscienza della verità di quello che stiamo vivendo e pesare sul serio l’impegno che ci stiamo mettendo, ma quelle risposte che il Papa ci indica sono già praticate.

La verità di quello che stiamo vivendo è sotto i nostri occhi: la strada è lunga, non facile, colma di insidie. Richiede quel che il Papa nel suo messaggio ha indicato: «Abbiate il coraggio di osare senza timore e infondete speranza a quanti incontrate, specialmente i più deboli, gli ammalati, i sofferenti, i migranti, coloro che sono caduti e vogliono essere aiutati a rialzarsi. I giovani poi – ha scritto – siano al centro delle vostre premure: sono la speranza del futuro».

Ecco, nel guado tra queste due sponde la fatica grande è accettare di non vedere interamente il risultato e, ugualmente, non scoraggiarsi: fa parte del pieno accoglimento grato del nostro limite umano.

Quindi sì: è stato assassinato, don Pino. La nostra Chiesa ha pianto e con lei la città di Palermo, la società civile tutta. Eppure, con grande senso della realtà e della verità, a trent’anni di distanza dai fatti storici che ricordiamo, torno a ripetere: non credo affatto che don Pino Puglisi sia morto.

* Vescovo di Acireale Presidente Conferenza episcopale siciliana

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