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IL COMMENTO

Devianza giovanile: ora pragmatismo e responsabilità per prevenire un fenomeno troppo a lungo ignorato

Diversi segni sembrano annunciare almeno la speranza di una stagione improntata alla concretezza

Di Tommaso Rafaraci |

È da augurarsi che sia la volta buona: che finalmente il bisogno urgente di prevenzione della devianza giovanile sia preso sul serio e fronteggiato con azioni concrete. Diversi segni sembrano annunciare almeno la speranza di una stagione improntata al pragmatismo.

In questa cornice si collocano certamente il noto progetto “Liberi di scegliere”, promosso e implementato dal presidente del Tribunale dei minorenni Giuseppe Di Bella, l’aspettativa del supporto finanziario (per questa e altre iniziative) di una legge regionale da approvare senza indugio (in tale direzione, almeno sulla carta, le rassicurazioni del presidente dell’Ars Gaetano Galvagno e dell’assessore regionale all’Economia Marco Falcone, a riscontro dell’editoriale del direttore di questo giornale Antonello Piraneo) e, non ultimo, fra l’altro, il dinamismo dell’Osservatorio metropolitano sulla devianza minorile.

L’approccio pragmatico pare l’unico dotato di senso, sia dal punto di vista culturale, sia da quello più strettamente istituzionale. La stagione delle analisi e degli studi è ormai trascorsa da un pezzo per una piaga conclamata e tristemente consolidata come la devianza giovanile. Non è inutile, piuttosto, considerare per un momento quanto sia stato colpevolmente lungo il lasso di tempo trascorso nell’inerzia pur quando era già del tutto evidente che la questione dei minori a rischio costituiva uno dei temi decisivi per le sorti della convivenza nella nostra comunità sociale.

Il richiamo

Si può risalire quantomeno al 1990, quando il 1° aprile il Sunday Times pubblicò un’ampia corrispondenza dall’Italia in cui il problema della devianza giovanile veniva preso in considerazione in particolare nel contesto della città di Catania, presentando fin dal titolo nel modo più crudo e realistico (pur al netto di qualche eccesso) il fenomeno bambini mobsters (qualcosa come “bambini mafiosi”). L’articolo dell’autorevole testata britannica, ripreso da “La Sicilia” qualche giorno dopo, registrava, fra altre, anche le dichiarazioni allarmate, ma dense di solida conoscenza della realtà catanese, dell’allora presidente del tribunale dei minorenni di Catania Giovanbattista Scidà, dando anche conto di una recentissima visita, ancora a Catania, della Commissione parlamentare antimafia, che proprio alla realtà dei minori ostaggio della criminalità organizzata aveva dedicato parte rilevante dei suoi lavori.

Il tempo trascorso da allora non muta purtroppo il quadro delle difficoltà: scarsa attenzione dello Stato, carenze di personale e di strutture preventive e rieducative, condizioni di vita intollerabili nei quartieri ghetto della città, nati dalla speculazione edilizia o dall’aborto di ambiziosi progetti urbanistici.

L’obiettivo

E dunque, a conti fatti, non era forse chiaro fin da allora, anche se non ce lo avesse ricordato la stampa internazionale, a che cosa bisognasse puntare, quale fosse l’emergenza da affrontare? Forse si può dire che, nonostante la drammaticità dei problemi, non tutto si vedeva con la stessa lucidità di oggi: come se la misura non fosse colma e come se la società e le stesse istituzioni non pensassero ancora di dovere un giorno fare i conti con il quadro di realtà così compromesso come quello che ci troviamo di fronte oggi.

Naturalmente occorre riconoscere che problemi come questi non si risolvono né presto, né facilmente, né forse definitivamente. Ma quel che ci si può e ci si deve attendere è che si imbocchi la strada giusta, la via della consapevolezza e della responsabilità di un percorso anche lungo e faticoso ma che porti a risultati da documentare in un bilancio sociale specificamente riferito all’attività di prevenzione della devianza, all’impiego accorto delle risorse, alla programmazione di obiettivi realistici il cui raggiungimento significhi un progresso tangibile.

A ben vedere, il lavoro da fare è immane, richiede risorse innanzitutto finanziarie e molto impegno, ma la posta, nonostante si tratti essenzialmente di agire e di essere rigorosamente pragmatici, resta decisamente etica e ideale. Tommaso Rafaraci.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA