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L'inchiesta

Le donne criminali: da ladre a “madrine” di mafia che vestono anche i panni del boss

Sono tante quelle che hanno rivestito ruoli fondamentali, comprendo, ad esempio, latitanze "storiche" come quella di Matteo Messina Denaro

Di Laura Distefano |

«Orgogliosa di appartenerti». Non è una lettera d’amore. È una donna che scrive a Matteo Messina Denaro durante la sua latitanza. È la figlia dell’amante del boss, ormai scomparso, che consapevole del destinatario dei pizzini – un mafioso stragista – considerava un privilegio essere nella sua cerchia di conoscenze. Martina Gentile è solo però l’ultima delle donne che ha intessuto rapporti che sono serviti al padrino di Castelvetrano di restare libero per oltre trent’anni. Qualche settimana fa i pm palermitani hanno chiesto il suo arresto e questa volta il gip – ad aprile aveva rigettato – ha accolto la richiesta di misura cautelare per favoreggiamento. Nelle 40 pagine dell’ordinanza ci sono i passaggi dei legami tra Messina Denaro e i Bonafede di Campobello di Mazara.

Chi è Martina Gentile

La maestra Gentile è la figlia di Laura Bonafede, che dal 1997 ha sempre potuto tenere un filo diretto con il latitante. Un contatto così stretto che per la procura la Bonafede sarebbe una partecipe all’associazione mafiosa. La figlia invece avrebbe fatto parte di quella rete di fiancheggiatori utili a diabolik a rimanere invisibile a chi per tre decenni lo ha cercato in tutto il mondo. E stato poi il Ros, seguendo gli appunti presi da un’altra donna – la sorella Rosalia Messina Denaro – e nascosti sulla gamba di una sedia a riuscire a catturare la primula rossa. Che qualche tempo fa è morta nel carcere de L’Aquila. Le donne dunque sono state fondamentali per Messina Denaro, per diversi aspetti criminali e criminogeni. Nelle parole usate dal gip di Palermo Alfredo Montalto per descrivere Martina Gentile ci sono i fattori genetici che caratterizzano il Dna di una donna di mafia. Il giudice parla della «pervicacia» con la quale la figlia della Bonafede «si è dedicata negli ultimi tempi a cooperare e coprire la latitanza di Messina Denaro» ed evidenzia «la piena adesione» della donna «agli ideali mafiosi già ereditati dal nonno (Nardo Bonafede) e attuati dal padre». Ma per comprendere ancora di più la personalità criminale della donna è fondamentale leggere una lettera scritta da Messina Denaro in cui dice di Martina che «ha molto di me perché l’ho insegnata io, se vedessi il suo comportamento ti sembrerei io al femminile».

Le donne nel ruolo di boss

E nella storia, anche recente di Cosa nostra, ci sono diverse donne che hanno vestito i panni dei boss. O per necessità o semplicemente per carisma criminale. Citarle tutte è impossibile. Maria Angela Di Trapani nel 2017 fu arrestata dai carabinieri nell’ambito del blitz Talea. La moglie del super killer Salvino Madonia fu considerata – la condanna è diventata definitiva l’anno scorso – la nuova capa del mandamento di Resuttana.Da Palermo a Caltanissetta, pochi giorni fa è finita in carcere per scontare la pena definitiva Maria Carmela Cammarata, la donna-boss di Riesi. Andiamo nell’altra parte dell’isola. A Catania le femmine sono sempre più attive nella vita criminale delle famiglie mafiose. In estate una matrona catanese si è presentata al carcere di Pisa dopo che la Cassazione ha reso irrevocabile la sua condanna per associazione. Il suo nome è Rosa Morace, la regina di via Belfiore a San Cristoforo. È la moglie fedele dell’uomo d’onore – è venuto fino ai piedi dell’Etna Leoluca Bagarella in persona per battezzarlo mafioso – Santo Mazzei, che è al 41bis dal tempo delle stragi.Ma le madrine di mafia sono una netta minoranza delle donne criminali italiane. La mafia è un concetto criminale declinato al maschile, anche se per opportunità o necessità riesce a cambiare pelle. E lo sta facendo mettendo le signore nei ruoli strategici. Anche finanziarie. Si gioca sull’effetto insospettabile.

Il report

Il crimine a trazione femminile è marginale, ma esiste. Le donne però sono principalmente ladre e truffatrici. Gli ultimi dati ufficiali sono reperibili nel report “Donne e criminalità” pubblicato nel 2021 dal Ministero dell’Interno. Nella fotografia ha naturalmente inciso la «pandemia dal virus Covid-19» che ha determinato «profondi cambiamenti del vivere quotidiano e anche delle attività delittuose». Nel 2019 sono state tratte in arresto o denunciate in Italia 855.274 persone, di cui 154.688 donne (pari al 18,1% del totale). Nel 2020 il totale di denunciati e arrestati sono stati 785.813, di cui 140.351 sono donne (il 17,9%). Il report poi ha analizzato i numeri in considerazione dei reati che hanno più impatto sociale e maggior rilievo. E si evince anche qui una flessione: nel 2019 furono 83.179 le donne arrestate e denunciate, mentre furono 71.730 l’anno successivo (grafico sopra). Il reato con maggiore incidenza (guarda la tabella sopra) è quello dei reati predatori. In particolare «i furti sotto ogni forma prevalgono rispetto alle altre fenomenologie delittuose». Per questo reato nel 2019 sono state denunciate o arrestate 23.339 ovvero il 28,1% del totale. Ai furti segue la macro area delle truffe e delle frodi informatiche con 16.491 pari al 19,8% del totale. A ruota si segnalano le minacce con 10.849 (13% del totale), le lesioni dolose (11,5%) e reati in materia di stupefacenti con 5.560 (6,7%). «I dati relativi al 2020 – si legge nella relazione – non si discostano di molto da quelli già rilevati per l’anno precedente. Il reato di furto ha una preponderanza su tutte le altre tipologie di illeciti compiuti dalle donne». Entriamo nel dettaglio: nel 2020 ci sono state 17.429 donne denunciate o arrestate per furto (24,3% del totale), seguiti da truffe e frodi informatiche, minacce, lesioni, stupefacenti.«Appare evidente che le donne commettano molti meno delitti rispetto agli uomini» ma nonostante «la minore propensione a delinquere» le donne sono comunque «presenti in tutte le tipologie di reato». Da conturbanti Eva Kant a fredde capimafia.

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