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Robot “made in Catania” aprono porte della realtà ai bambini autistici

Di Maria Ausilia Boemi |

Da una parte una sensibilità coltivata in famiglia per la presenza di un cuginetto autistico e di due genitori, entrambi insegnanti, impegnati anche nel sostegno; dall’altra la decisione, dopo una ventina di anni di lavoro dipendente, di mettersi in proprio: queste le due molle che hanno portato i fratelli catanesi Lombardo, Daniele (46 anni) e Marco (41 anni), a creare nel 2012 la startup Behaviour Labs, specializzata in robotica, realtà virtuale e aumentata nei settori salute e benessere. In particolare, proprio per l’esperienza familiare, nella cura dei disturbi del comportamento e dell’autismo. E proprio RoboMate, la loro “invenzione” di supporto robotico per la cura dell’autismo, è quella più apprezzata.

Entrambi periti informatici e sposati, Daniele con due figli, Marco senza prole, hanno fondato la startup (con altri 3 soci, ma attualmente quelli attivi sono rimasti complessivamente 3: oltre ai fratelli Lombardo, il cugino Giuseppe Pennisi) e si occupano, rispettivamente, dell’amministrazione dell’azienda l’uno e della programmazione e sviluppo dei prodotti l’altro. «Dopo avere lavorato per diversi anni in aziende di Catania – racconta Daniele Lombardo -, nel 2012 abbiamo deciso di fondare la startup Behaviour Labs. Behaviour in inglese significa comportamento, nome scelto per 2 motivi: perché programmiamo robot – e quando si crea un software per un robot si crea un behaviour, un comportamento, perché il robot cammina, vede, sente, parla – e, insieme con i nostri referenti scientifici dell’università di Enna e dell’università Iulm di Milano, studiamo il comportamento umano, ovvero i deficit del neuro-sviluppo infantile, al fine di programmare i robot come ausilio. Quindi c’è un doppio studio: del comportamento dei bambini affetti da deficit del neuro-sviluppo al fine di programmare il comportamento del robot che possa essere di aiuto».

I fratelli Lombardo acquistano i robot “vergini” («soprammobili tecnologici») e li programmano, «dando loro un’anima, uno scopo: noi abbiamo scelto come target l’autismo perché eravamo sensibili al problema. Abbiamo infatti un cuginetto autistico in famiglia e i miei genitori, entrambi insegnanti, per anni hanno fatto anche sostegno. Da appassionati di informatica e di robotica abbiamo deciso allora di capire come le due cose potevano essere correlate. L’utilizzo del robot deriva infatti dall’utilizzo della bambola per stimolare l’affettività di anziani e bambini. Ma se la bambola è interattiva, come il robot, il livello dell’impatto emotivo è maggiore».

Non bastavano tuttavia le competenze informatiche in un settore così delicato, per cui i fratelli Lombardo hanno trovato un referente scientifico in Neuropsichiatria e Psicologia nel prof. Giovanbattista Presti, docente dell’università Kore di Enna, «e con lui nel 2014 abbiamo iniziato un percorso, mettendo a punto la piattaforma RoboMate che è quella che dà vita al robot e ci ha consentito di creare il prodotto commerciale».

La piattaforma RoboMate è in uso in centri di ricerca, cooperative sociali, e terapisti e all’Asp 3 di Catania. Ovviamente, il robot non diventa il baby sitter del bambino autistico, ma un mezzo per migliorare l’interazione con l’umano: «Il robot in quanto tale è infatti un grandissimo catalizzatore dell’attenzione, soprattutto in bambini con autismo. Uno dei problemi è infatti catturare la loro attenzione, in quanto si isolano in un mondo interiore tutto loro e non comunicano con gli altri umani, perché per loro l’essere umano da un lato non è interessante così come può esserlo un oggetto e dall’altro li manda in sovrastimolazione (l’essere umano fa contemporaneamente troppe cose). Il robot, invece, siccome è altamente prevedibile, non li manda in sovrastimolazione e diventa un mezzo per abituarli all’interazione con l’essere umano: diciamo che la tecnologia è una tappa di avvicinamento verso la realtà. Il robot, come qualunque altro strumento, è un ausilio a una procedura, non è il baby sitter del bambino. Il terapista, l’insegnante o il genitore deve fare capire al soggetto autistico che il robot è governato dall’adulto che gli sta accanto e lui deve triangolare sull’adulto per chiedere che il robot faccia determinate cose, il che lo induce a interagire con l’umano per usare il robot».

Ma non solo: «I risultati che abbiamo ottenuto hanno dimostrato che la curva di apprendimento dei bambini quando si usa un robot è molto più rapida, anche in ambito scolastico. Ad esempio, è partito l’anno scorso un progetto con la scuola Claudio Abbado di Roma che ha acquistato robot e RoboMate. Abbiamo fatto già test su una ventina di bambini e gli insegnanti si sono commossi perché i bambini con i robot facevano da subito cose che non facevano quando erano in classe con loro: ad esempio, un bambino con deficit verbale si sforzava di parlare per interagire col robot».

A scuola il robot può essere usato per bambini con problematiche (dalla sindrome di Down all’autismo a qualunque altro deficit del neuro-sviluppo). «Oppure può essere utilizzato in classe, quindi come ausilio di gruppo, o ancora come strumento di inclusione di bambini considerati “disabili”, e talvolta emarginati perché “diversi”, che, diventando gli esperti del robot, fanno da tutor agli altri compagni. Così come in altri casi è il compagnetto neurotipico che diventa il tutor per il robot: quindi il robot diventa un mediatore nell’interazione tra i bimbi».

L’altro prodotto di Behaviour Labs è la parete interattiva, evoluzione tecnologica delle lavagne interattive. «Noi proiettiamo contenuti sulla parete della classe: quindi l’immagine è molto grande e il bambino con i gesti interagisce con questi contenuti, che sono ancora una volta nell’ottica della stimolazione cognitiva, comportamentale e della formazione». Un’installazione già presente in una decina di strutture sanitarie e in una scuola a Modena («una sola finora, perché per un mio errore di valutazione, pensavo inizialmente che la scuola avesse difficoltà a recepire questo tipo di innovazione»), inventata nel 2016 al primo Scholas Lab Jam voluto da Papa Francesco, al quale i fratelli Lombardo erano stati invitati come innovatori. «Il tema da svolgere, in tre giorni, era una scuola senza pareti: la nostra idea fu quella di proiettare sulle pareti della scuola, quindi abbattendole virtualmente, contenuti interattivi. Quello che era semplicemente un power point, col tempo si è trasformato in un prodotto e attualmente è installato nei centri di terapia dell’Asp di Catania e in una scuola a Modena valendole la nomina, da parte del Miur, di atelier creativo più bello d’Italia». Behaviour Labs è stato così conosciuto dal Miur che ha invitato i Lombardo a un evento a Lucca sulla realtà virtuale all’interno del quale «abbiamo potuto mostrare la parete interattiva che ha suscitato grande interesse».

Robot e parete interattiva sono i due prodotti di questo esempio di eccellenza tecnologica in Sicilia: per i primi, i costi base si aggirano sui 15mila euro, per la seconda circa 6-7mila euro. Prodotti con i quali, nel 2018, l’azienda – nata con un primo finanziamento di 25mila euro ricevuto da Tim nel 2013, «prestiti bancari personali e il supporto di piccoli investitori» – oggi si auto-sostiene. E piace: diversi infatti i riconoscimenti ottenuti. Tra questi, il terzo posto al concorso nazionale “Scintille 2014” organizzato dall’Ordine degli Ingegneri d’Italia, il “Lions Day Award 2015” per l’innovazione tecnologica, il premio “Feste Archimedee 2015” per l’innovazione sociale, fino all’assegnazione dal Senato della Repubblica, nel dicembre 2017, del premio “Cuore digitale per l’innovazione digitale in ambito sanitario”.

Una “rivoluzione” di vita a 40 anni, dunque: «Sì, per usare un eufemismo anglosassone, abbiamo deciso di abbandonare la nostra comfort zone ed essere artefici del nostro destino». Con la voglia, comunque, di rimanere in Sicilia, nonostante tutto: «Sì, anche se siamo continuamente in giro per tutta l’Italia, perché in Sicilia ci sono poche realtà in grado di assorbire per ora questo tipo di innovazione». Tuttavia, i fratelli Lombardo non hanno voluto lasciare la Sicilia anche se da qui è tutto più difficile: «Più difficoltoso anzitutto perché c’è meno innovazione e ci sono meno fondi da spendere nell’innovazione. Inoltre, le realtà sono un po’ più piccole. Così viaggiamo in continuazione e paghiamo lo scotto di essere in Sicilia perché i costi dei viaggi sono veramente elevati. Spesso allora scegliamo l’auto, non perché si risparmi, ma perché se non altro abbiamo libertà nei movimenti e risolviamo il problema del trasporto del robot in aereo». E sì, perché anche questo è un problema, con risvolti quasi tragicomici: «Abbiamo 2 robot che portiamo in giro per le dimostrazioni: uno si riesce a raggomitolare in un trolley e viaggia in cabina. C’è quindi solo la scenetta al controllo bagagli perché, vedendo una sagoma raggomitolata, pensano che sia un neonato. L’altro è più grande e deve essere messo in stiva, ma ce l’hanno già danneggiato due volte. Ho chiesto di pagare come se fosse uno strumento musicale o attrezzatura sportiva, ma non è previsto dai regolamenti: forse dovrei metterlo nella custodia di un contrabbasso», scherza Daniele Lombardo.

Alle difficoltà logistiche si aggiunge poi quella di riuscire a spiegare i prodotti: «Ci sono pregiudizi radicati sull’innovazione, in particolare sull’utilizzo dei robot, perché molti sono influenzati dai film di fantascienza e hanno visioni distorte». Tutto si dimentica, però, quando «si vedono insegnanti, terapisti o genitori commossi quando i bambini, utilizzando i robot, fanno cose che prima facevano con difficoltà o non facevano affatto».

E se l’unico rimpianto di Daniele Lombardo è «non avere lasciato il posto fisso prima, quando ero più giovane», ritiene che gli ingredienti del successo di Behaviour Labs siano «l’entusiasmo, una grande pazienza nell’affrontare tutte le problematiche e la determinazione». Perché la Sicilia, e in generale l’Italia, non fa moltissimo per valorizzare i propri talenti: «Sicuramente dovrebbe avere un occhio di riguardo nei confronti di chi porta avanti startup innovative vere. Questo significa non solo agevolazioni fiscali vere, ma una erogazione di fondi anticipata e non a rimborso successivo (le startup all’inizio non hanno soldi)».

Infine, ai giovani Daniele Lombardo consiglia di «provarci comunque e di non avere paura di fallire: il grosso ostacolo in Italia è che se sei fallito, sei marchiato a vita. All’estero, invece, se fallisci vuol dire che hai provato, quella cosa è andata male, tu hai capito e ti rialzi ripartendo dagli errori».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA