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Le aree interne “ospizio” di Sicilia: nel 2030 uno su quattro sarà over 65

Di Giuseppe Bianca |

Palermo – Nel giro di pochi decenni le aree interne della Sicilia rischiano di ridursi a villaggi. La fosca previsione è contenuta nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza regionale e ha più probabilità di avverarsi di quante non ce ne siano che possa essere smentita dai fatti. Dal 1997 il flusso migratorio è accentuato e le morti superano le nascite. Ma il quadro non è brillante neanche per il resto della Sicilia che tenderà a concentrare la sua popolazione (in calo) sempre più nelle aree metropolitane. Gli over 65 saranno il 25,8% della popolazione. Già nel 2030 i residenti scenderanno a 4milioni e 850mila, ma soprattutto nelle previsioni tendenziali il rapporto fra la popolazione non in età di lavoro (sotto i 14 anni e sopra i 65) passerà dal 53 al 61% con l’8% di siciliani in più che graverà sulle spalle di quelli che riescono a produrre. Un appesantimento in termini di servizi e di welfare. E sempre nel 2030 con l’attuale proiezione gli occupati sarebbero un milione 213mila. Il divario continuerebbe dunque ad aumentare.

Basterà la ripartenza della stagione dei concorsi nella pubblica amministrazione con il reclutamento dei giovani, o la misura più volte sbandierata del social housing che favorisce l’offerta di case per giovani coppie a prezzi calmierati? La mancanza di ogni minimo sintomo di ripresa quanto inciderà nel rapporto tra qualità di vita, spopolamento e invecchiamento medio della popolazione? Reggerà il livello dei servizi? Dallo sblocca-cantieri in poi si attende l’attuazione di alcune delle grandi infrastrutture strategiche in fase avanzata di definizione tecnico-amministrativa e dotate di coperture finanziarie, pubbliche e private, nazionali ed europee, spesso complete o in via di completamento, il cui blocco ha prodotto, secondo la Svimez, un effetto quasi generalizzato di sospensione e di attesa sull’intera programmazione infrastrutturale strategica. Un’attesa che di questo passo rischia di essere sempre più per pochi intimi. È il contesto generale che ristagna in una dinamica che non crea discontinuità allo stallo. Una flessione generata anche da uno sviluppo economico debole e poco strutturato per fasce di territori dove le banche sembrano spopolarsi al pari dei territori. Un dato questo, evidenziato dal governo regionale con l’assessore Gaetano Armao, rispetto al quale il peggioramento della situazione incrementa.

Carmelo Raffa, coordinatore di Fabi Sicilia infatti commenta: «Chiusura di sportelli bancari, desertificazione e fuga dei giovani non sono capitoli a se stanti ma ben collegati tra loro e alla fine producono esclusivamente danni irreparabili per la nostra terra». Sono lontani gli anni in cui la Sicilia provava a uscire dal fenomeno della povertà che invece torna a incombere limitando le aspettative dei siciliani: «Nel dopoguerra c’era stato in Sicilia un proliferare di sportelli bancari – ricorda Raffa – occorreva una spinta propulsiva e di sostegno all’economia e contemporaneamente una lotta all’usura».

Oggi la storia ha cambiato pagina. Unicredit ha presentato un nuovo piano industriale che fa presagire “lacrime e sangue” con decine di chiusura di proprie filiali (si parla di 57), Raffa volge lo sguardo al passato quando «le banche aiutavano la Sicilia a scrollarsi la crisi e crescere. Tutti i piccoli centri erano presidiati principalmente dalla Cassa di Risparmio e dal Banco di Sicilia. La Cassa di Risparmio gestiva nell’isola i famosi Monti di Pietà cioè filiali destinati al credito su pegno e ciò significativamente aiutare la povera gente e così contrastare il fenomeno dei “cravattari”».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA