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Meloni incorona La Russa viceré: ecco il “gabinetto di guerra” di Fdi in Sicilia

L’esperto senatore etneo delegato al tavolo del centrodestra su Amministrative e Regionali. Varchi o Musumeci? «Li vogliamo tutt’e due»

Di Mario Barresi |

La decisione, segretissima, Giorgia Meloni l’aveva presa qualche giorno fa. Prima dell’ultimo blitz del suo braccio destro (e cognato) Francesco Lollobrigida, ieri a Palermo per conciliare le urgenze politiche alla partita della Nazionale; ma anche prima del «laboratorio siciliano» lanciato da Matteo Salvini. La leader ha una linea chiara sull’Isola: vuole tutto. Vuole subito la fedelissima Carolina Varchi, «senza fare passi indietro», candidata a sindaco di Palermo; e vuole Nello Musumeci in lizza per il secondo mandato a Palazzo d’Orléans. Anche a costo di sfidare la Lega e i riottosi alleati siciliani, correndo il rischio (calcolato) di una rottura che, fra i big regionali di Fratelli d’Italia, c’è chi teme si trasformi in un pericoloso isolamento, con annessa fuga di potenziali candidati dalle liste uniche con i musumeciani.

Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. E non è un caso che –  di fronte a una trattativa ad alta tensione, con ripercussioni sugli equilibri nazionali –  la leader patriota incoroni Ignazio La Russa suo “viceré” nell’Isola. Commissariando, di fatto, il partito siciliano: sarà il vicepresidente del Senato, di fiere origini e frequentazioni etnee, a rappresentare FdI in tutti i tavoli del centrodestra su Amministrative e Regionali. «Un frontman», lo definisce qualcuno: La Russa, ispiratore dell’accordo con Musumeci e DiventeràBellissima, guiderà una sorta di direttorio a cinque. Un gabinetto di guerra composto dai due attuali coordinatori regionali, Salvo Pogliese e Giampiero Cannella, ma anche dalla stessa Varchi e da Manlio Messina, oggi più che mai l’uomo forte del partito in Sicilia. La raffinata strategia prevede che nell’organismo venga cooptato anche Raffaele Stancanelli.

Per l’eurodeputato catanese, contrario alla ricandidatura del governatore uscente, sarà una sorta di “dentro o fuori”: se ci stai, allora devi smettere di rompere i cabbasisi sul bis di Nello. Stancanelli, ieri a Bruxelles, magari è ancora all’oscuro di una proposta che deve ancora arrivargli (forse oggi stesso, quando Lollobrigida sarà a Catania), ma, se dovesse accettare, potrebbe comunque mantenere il ruolo di “grillo parlante” rispetto a  dubbi che nel partito restano. Emersi anche ieri a Palermo, poco prima della conferenza stampa, in mezz’ora di confronto fra una decina di esponenti siciliani di spicco in un bar del centro. Varchi, da diretta interessata, ammette che «per trovare un accordo su Palermo, bisogna prima sciogliere il nodo Regione, altrimenti non si va da nessuna parte».

Scegliere l’uovo o la gallina, questo è il «punto di caduta» esplicitato, come sempre senza troppi giri di parole, da Peppe Milazzo. L’eurodeputato palermitano pone i vertici davanti a un bivio: «Vogliamo ottenere il sindaco di Palermo o il presidente della Regione? Perché tutt’e due le cose non ce le daranno mai…». La risposta? «Per ora si va avanti su entrambi i fronti». Più rigido e intransigente “il Lollo” (in piena sintonia con l’assessore Messina), che rintuzza subito anche chi evoca una «fuga dalle nostre liste» in caso di una rottura con gli alleati su Musumeci e di un’eventuale corsa solitaria. «Non me ne frega niente, se ne vadano pure…».

Più sottile la posizione di La Russa: «Il ragionamento passa dalle Regionali, ma i sondaggi su Nello ci daranno ragione. Allora  prima si affronta un tema e poi l’altro». Fra i due meloniani e Musumeci doveva esserci un incontro a Palazzo d’Orléans alle 18, poi saltato. «Il presidente ha il telefonino staccato», vengono a dire Alessandro Aricò e Pino Galluzzo. Il governatore, comunque, avrà modo di chiacchierare con gli alleati durante la partita alla Favorita.

Davanti ai giornalisti niente crepe. FdI si presenta con una linea netta sulle Regionali. «Perché non va bene il presidente uscente Musumeci? E chi è l’alternativa meglio di lui? Dopodiché, per trovare la sintesi ci vuole volontà, e noi – scandisce La Russa – abbiamo la volontà di trovarla. Ci arrabbiamo con Lega e Forza Italia solo quando loro preferiscono altre alleanze rispetto al centrodestra». E l’ex ministro della Difesa non cade nella trappola del cavallo di Troia: «Se candidare Stancanelli, mio fraterno amico, lo decidiamo eventualmente noi di FdI, non me lo devono certo dire gli altri», risponde a un’insidiosa domanda. «Non partecipiamo alle risse nel centrodestra», taglia corto Lollobrigida.

E poi i dioscuri di Giorgia tradiscono una certa irritazione per la federazione lanciata da Salvini e per i messaggi fra le righe dell’intervista su La Sicilia di ieri. Respinto al mittente l’invito del Capitano a far parte della federazione di centrodestra: «Noi ci presentiamo col nostro simbolo, non si cambia la faccia a pochi mesi dal voto. Il nostro principale riferimento – sillaba il capogruppo di FdI alla Camera – non è il centrodestra per forza, ma il centrodestra del popolo». E La Russa: «Salvini dice che devono decidere i siciliani, poi però dice che la Sicilia è laboratorio per “Prima l’Italia”. No, la Sicilia non è una cavia, non serve a testare le cose che servono all’Italia. Noi siciliani non siamo cavie. Sapete chi ha inventato lo slogan “Prima l’Italia”? Giorgio Almirante, ci sono i manifesti».

Gli replicherà poco dopo il segretario regionale della Lega, Nino Minardo: «La Sicilia è da sempre terra di autonomia e di orgoglio. Che paura ha La Russa delle scelte di voto dei siciliani?». I Giorgia-boys sono molto infastiditi anche dai punti deboli segnalati da Salvini sull’attività del governo regionale, in particolare il turismo (di cui è assessore Messina) e la salute di Ruggero Razza. Così Lollobrigida: «I dati raccontano una Sicilia che cresce in ogni parametro nel turismo e nella sanità: i risultati sono oggettivi. Oggi la Sicilia comincia a essere concorrenziale con la Lombardia, per merito di Musumeci più che per demerito della giunta lombarda».

Come dire: caro Salvini, con noi tocchi duro. Prova di forza, tatticismi? O segnale dell’irreversibilità della rottura? La Sicilia può essere scenario definitivo di guerra, in un centrodestra non solo «senza ordine». Ma forse ormai  senz’anima.

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