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Ragusa piange la morte del grande fotografo Giuseppe Leone

Il sindaco Cassì: "Una grande perdita per la nostra realtà. Proclameremo il lutto cittadino"

Di Redazione |

E’ morto il fotografo Giuseppe Leone. Un personaggio che ha fatto la storia artistica della città di Ragusa e dell’intera Sicilia. Aveva 88 anni. Noto soprattutto per aver raccontato i paesaggi e i costumi della Sicilia dagli anni 50 ad oggi, ha pubblicato oltre 50 volumi con vari editori come Sellerio, Eri, Electa, Bompiani e realizzato mostre in Italia e all’estero (nella foto sotto il suo studio).

“In questo giorno triste – sottolinea il sindaco Peppe Cassì – Ragusa perde uno dei suoi più alti esponenti artistici. Peppino Leone non è stato solo un fotografo siciliano ma la Sicilia in fotografia.Le sue straordinarie amicizie letterarie, il suo impegno per raccontare luoghi e umanità degli Iblei, per valorizzare eccellenze come il Palazzo della Prefettura e al tempo stesso le nostre tradizioni più intime. Per anni il suo studio è stato una luce sempre accesa e sempre viva del nostro Centro storico; e proprio ieri abbiamo inaugurato una sala del nuovo Museo della Città a Palazzo Zacco con 30 sue fotografie di Ragusa. Proclameremo il lutto cittadino; appena possibile vi fornirò tutti i dettagli”. 

Le origini

Figlio dell’organista della cattedrale di Ragusa, ad appena sei anni comincia a seguire il padre quando si celebrano i matrimoni. Nella grande chiesa barocca resta affascinato da quegli spettacoli straordinari. Il padre avrebbe voluto che anche lui facesse l’organista, ma il ragazzo vorrebbe fare il pittore, quando, vedendo all’opera il fotografo Antoci proprio durante una cerimonia nuziale, gli chiede se può andare da lui a bottega. Comincia così, a 14 anni entra per la prima volta in una camera oscura. Quell’anno, il 1952, scatta già una delle sue fotografie più famose: il treno con la locomotiva a vapore che transita sul ponte sul torrente San Leonardo con Ragusa Ibla sullo sfondo. A 21 anni, acquistata la prima macchina fotografica a soffietto apre il suo studio dedicato soprattutto alla foto dei matrimoni, ma, al tempo stesso, continua un lavoro personale di testimonianza, di scavo, di indagine, al limite della vivisezione, del paesaggio siciliano che da allora non si è più interrotto fino ad oggi, dopo quasi 70 anni. L’esperienza di fotografo di matrimoni sviluppa in lui una capacità di scavo antropologico che lo guida anche in una ricerca di costume che fa della sua opera un unicum nel panorama dei grandi fotografi italiani a cavallo tra Novecento e XXI secolo. Dall’inizio degli anni Settanta in poi, le sue fotografie si accompagnano ai testi dei più importanti intellettuali e scrittori siciliani.

La fotografia antropologica

L’incontro all’inizio degli anni Settanta con l’antropologo Antonino Uccello che aveva appena inaugurato la sua Casa-Museo a Palazzolo Acreide lo spinge con maggiore decisione verso la fotografia antropologica, quella che indaga costumi, ma anche il duro lavoro, le condizioni sociali della Sicilia interna. Sebbene egli ami definire le sue immagini “neorealiste” perché legate al mondo operaio, contadino, alle miniere d’asfalto del ragusano. La sua fotografia però va oltre la poetica neorealista per avvolgere con una intensa pietas i soggetti, soprattutto quando rappresentano il mondo che viene soppiantato dall’incedere della modernità.

Lo studio sul paesaggio

Per Leone il paesaggio non è il fondale inerme delle azioni degli uomini, ma è un elemento vivo che con essi interagisce modificandoli ed essendone modificato. Questa coevoluzione si sviluppa in armonia fino a quando la hybris dell’uomo determina la perdita di questo contatto. Nei quasi settanta anno di attività Leone testimonia una transizione a volte lenta, a volte improvvisa del paesaggio agrario siciliano verso un nuovo assetto in cui sembra perdersi il filo che per millenni aveva legato gli uomini alla terra. Analogamente testimonia la grandezza della civiltà urbana siciliana e delle architetture, dalle più imponenti alle più umili determinando, tra l’altro, la scoperta del liberty minore del ragusano e dell’architettura rurale degli Iblei. Amico personale di Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo e Gesualdo Bufalino è l’unico non scrittore sempre invitato nella casa di campagna dello scrittore di Racalmuto quando si tengono gli incontri tra i tre intellettuali testimoniati con alcuni dei suoi scatti più famosi pubblicati in tutto il mondo. È proprio Sciascia che lo introduce nella editoria che conta: nel 1983 pubblica per Electa “La contea di Modica” con testo dello stesso scrittore di Racalmuto e “Piazza Armerina medievale” con testo di Ignazio Negrelli. Al contrario di tanti altri grandi fotografici siciliani suoi contemporanei, decide di non lasciare la sua Ragusa dove continuava a tenere il suo studio. Per questa sua ostinazione a rimanere in Sicilia è stato indicato come un “siciliano di scoglio”COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA