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Lucia, da avvocata a imprenditrice agricola: «Ce l’ho fatta da sola in un ambiente maschile e ostile, la terra mi ha voluto bene»

Lucia Borsellino, 50 anni, una laurea in giurispurdenza, dopo il divorzio si è licenziata e si è ritrovata a coltivare arance e ulivi in quel di Ribera

Di Carmen Greco |

Lucia Borsellino non pensava di fare l’imprenditrice agricola nella sua vita. Cinquant’anni, una laurea in giurisprudenza, il suo obiettivo era semmai un impiego nel settore pubblico. Invece.

Invece si è “ritrovata” da sola, imprenditrice agricola in quel di Ribera dove coltiva arance e ulivi.

Lei non è nata produttrice…

«Ho ereditato una porzione di feudo da parte materna, dal mio bisnonno Serafino che l’aveva acquistato con altri 4 fratelli. Lui aveva cinque figli e una era mia nonna materna, il terreno mi è arrivato per parte femminile».

“Arrivato”, sembra una cosa casuale…

«Infatti, ci sono state delle circostanze nella mia vita che mi hanno “strattonato” pesantemente. Quando sono diventata avvocata è morto mio fratello in un incidente stradale, poi nel ‘99 mi sono sposata affrettatamente con un commercialista e per 15 anni ho lavorato in studio con lui. Contemporaneamente avevo superato il concorso come insegnane di Diritto nelle scuole superiori, e mi hanno assegnato a Gallarate. Lì ho fatto un dottorato di ricerca a Murcia, una comunità autonoma fra la Catalogna e l’Andalusia, è scoppiato il Covid e s’è fermato tutto. Nel 2019 ho divorziato e lì ho cominciato a riappropriarmi dei miei terreni che lui aveva mandato in malora. L’azienda era intestata a mia madre, insegnante. Mi sono cancellata dall’albo degli avvocati, mi sono licenziata e ho deciso di rimettere su la produzione. Ho estirpato gli uliveti, ho impiantato aranceti, le ho dato una nuova dignità».

Perché, era diventata improduttiva?

«Era stata gestita male dal mio ex. Ho scoperto che mi aveva mentito sulla fatturazione, che aveva una vita parallela e aveva pure un figlio. Io mi ero affidata a lui, mio padre era morto giovane, poi era morto mio fratello… era l’unica figura maschile di riferimento, invece…».

Ha dovuto imparare tutto da zero…

«A poco a poco. Ho ridato vita a questo posto, mi sono consorziata con una cooperativa a Bagheria, conferisco l’olio al consorzio dell’olio sicano, l’arancia è biologica, l’olio è dop… Prima ero una spettatrice, nemmeno capivo come arrivasse un’arancia sulla tavola, sono cresciuta in un ambiente dove le arance ce le portava a casa l’operaio che avevamo, ora so cosa c’è dietro».

Quindi un riscatto sia personale che professionale…

«All’inizio anche i confinanti mi guardavano scettici, pensavano “Vediamo questa quanto dura” e agli operai chiedevano, “Ma questa non vende?”, “Che deve fare da sola?”. Ora dopo sette anni, nei miei confronti hanno rispetto e considerazione, mi vengono a cercare per chiedermi, “Lucia c’è da fare questa cosa, cosa ne pensi?”, per me è una gratificazione importante, non tanto perché m’importa il giudizio, quanto per il riconoscimento di una che “ha fatto” laddove non ci credeva nessuno».

La burocrazia

E cosa “ha fatto?”

«Ho smontato gli uliveti che erano ormai diventati improduttivi e non è stato semplice. Per estirpare bisogna mandare una pratica al prefetto, all’ispettorato e al Comune perché c’è una legge mussoliniana che dice che se estirpi un ulivo incorri nel penale. Queste pratiche sono state parcheggiate sulla scrivania del prefetto 13, 12 e 11 mesi, prima che potessi togliere tre ettari di uliveto, ribaltarli, rivangare il terreno, mettere gli impianti d’irrigazione, cambiare il fascicolo aziendale, tutte cose che avevo studiato sui libri ma che poi, tecnicamente, mi sono ritrovata a fare con non poche difficoltà».

Ma da grande che cosa voleva fare?

«Le circostanze e gli eventi condizionanti mi hanno portato a questo, sono fatalista, si vede che doveva andare così. Io, in realtà, più che l’avvocata avrei voluto fare la funzionaria amministrativa, la dirigente di un ente pubblico, cose così…, credo di avere una buona capacità organizzativa, ormai a 50 anni conosco le mie qualità e le mie debolezze».

Cosa ha significato per lei questo passaggio di testimone dal bisnonno, alla nonna, a sua madre?

«A parte la storia di famiglia perché lì sono conservati ricordi della mia infanzia, vedere di avercela fatta in un ambiente maschile e ostile mi rende orgogliosa».

Cosa le piace della vita da agricoltrice?

«Questo lavoro ti dà libertà, autonomia e la consapevolezza di vedere e toccare con mano ciò che fai, investire, creare e raccogliere i frutti, nel vero senso della parola, e nel senso più esteso. Raccolgo non solo arance e olive, ma il frutto del mio lavoro, è una cosa che si concretizza davvero. Fra gli aspetti negativi metterei sicuramente la burocrazia e la mancata valorizzazione dei nostri prodotti. Dovremmo crederci di più, ci vorrebbe più “esposizione” sul mercato. Io stessa finora non sono riuscita a farlo. Mio figlio aveva bisogno di crescere. Ma adesso ha 21 anni e il mio primo obiettivo è allargarmi. La mia azienda era di 18 ettari, 4 dislocati altrove li ho venduti e appena si presenterà l’occasione di un terreno attiguo, mi espanderò. Gli obiettivi sono: ingrandirla e avere un po’ più di risonanza, per una questione di ego e di eco (ride ndr). La ricchezza di un’azienda è reale quando è estesa in un unico posto. Io lo vedo questo progetto, ci credo moltissimo. Mio figlio forse farà Medicina, ma mi stima per ciò che faccio. Chissà, un giorno potrebbe seguirmi, vedremo… Al momento la produzione è a regime ridotto per problemi dovuti alla precedente gestione, io ho invertito la tendenza e con appena 900 piante sono riuscita a ottenere 700 quintali di arance. Partiamo da qui».

Una botta di autostima

Cosa significa la terra per Lucia Borsellino?

«In base al mio vissuto la certezza che ce l’ho potuta fare. Mi ha dato una botta di autostima e di sicurezza, mi ha fatto credere nuovamente in me stessa. La terra mi ha voluto bene».

Cosa si sente di dire a una donna che dovesse trovarsi nella sua situazione di qualche anno fa?

«Che ne momenti in cui sei più disperata è proprio lì che devi sperare di riappropriarti della tua vita e delle tue capacità. Non è mai troppo tardi».

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