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Federico Tiezzi: «La mia Medea forse sogna tutto quello che le accade»

Il regista: «Rifiuta la civiltà borghese, rifiuta quella neocapitalista cui appartiene Giasone»

Di Monica Cartia |

Federico Tiezzi, che aveva debuttato al Teatro greco di Siracusa nel 2015 con “Ifigenia in Aulide”, ritorna con una nuova sfida: “Medea” di Euripide con Laura Marinoni (nella foto con Alessandro Averone). Lo spettacolo di snoda su diversi nuclei tematici: lo scontro tra culture; quello tra uomo e donna; l’amore che si trasforma in odio e vendetta e il perimetro familiare, all’interno del quale si consuma il dramma.

La seconda volta a Siracusa. Cosa prova?

«Le confido che il primo viaggio che ho fatto con il mio compagno è stato a Siracusa. Eravamo giovani, frequentavamo il ginnasio e volevamo vedere la Magna Grecia. Sono ritornato nel 2015. Avevo lavorato nei teatri all’aperto ma la luce del giorno che passa lentamente al tramonto e poi alla notte è stata un’esperienza fortissima anche da un punto di vista drammaturgico e quella luce la ricordo ancora. Ciò che veniva detto con il testo veniva evocato all’interno della notte».

La complessa figura di Medea è stata nei secoli oggetto di riscritture. Per la sua regia ha parlato di dramma borghese.

«Euripide scende all’interno dei rapporti interpersonali in maniera violenta e il dramma borghese di Ibsen e Strindberg sono stati la prospettiva dentro cui mi sono mosso per iniziare il lavoro con gli attori. Lo spettacolo respira questa atmosfera; non è una semplice modernizzazione in cui c’entra l’occhio e la scienza di Freud, ho voluto mantenere gli umori arcaici, originari della tragedia».

Quindi la parola ritorna ad essere essenziale?

«La parola, il testo, la drammaturgia del testo hanno il peso maggiore. Fondamentale è stata la traduzione di Massimo Fusillo che riesce a rendere in maniera più contemporanea le parole di Euripide».Medea sa quello che sta per fare. Il suo orgoglio è più forte delle sue scelte.«Freud si ispira ad Edipo e fa solo qualche accenno a Medea. Tolgo Medea dall’eventuale caso di cronaca. Euripide ha questa idea formidabile di lei che per vendetta uccide i figli. Da un punto di vista drammaturgico è formidabile; da un punto di vista registico è un’idea che tiene viva l’attenzione degli spettatori in maniera assoluta».

Nonostante il gesto atroce, si tende ad assolvere Medea. Perché?

«Perché si instaura quella che viene chiamata una empatia negativa cioè noi proviamo un’attrazione del perché Medea arriva a questa decisione, più che di uccidere, di sacrificare i figli. Mi sono chiesto quali possano essere i motivi al di là della vendetta, del rancore nei confronti di un uomo. Quando leggiamo una tragedia greca spesso dimentichiamo che è un luogo anni luce distante dal nostro presente e non possiamo interpretarla con gli occhi di oggi. Sono partito dal suo luogo di origine: la Colchide e mi è venuto in aiuto Freud. Questa Colchide è quel luogo dove non si ha paura né della violenza né dei mostri e del sangue e questo luogo è l’inconscio e da lì ho trovato una strada per cui Medea nella mia testa è diventato un caso clinico in cui chissà forse questa donna sogna tutto quello che sta succedendo. Forse sogna di uccidere i figli ma non arriva all’atto fisico che effettivamente nel mio spettacolo non si vede. Mi sono rifiutato di avere a che fare con il sangue versato da Medea. La terra barbara – così la chiama Giasone – nella quale Medea nasce e vive è legata al sole come principio di vita, di luce vitale; è legata alla violenza della natura. Medea con questo atto rifiuta la civiltà borghese, rifiuta la civiltà che io ho chiamato neocapitalista alla quale appartiene Giasone».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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