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Pamela Villoresi e il Biondo di Palermo: niente cig e un premio a New York

La direttrice del teatro di Palermo: «Anni difficili ma tante soddisfazioni»

Di Nicoletta Laudamo |

«Sono stati anni anomali, perché a causa della pandemia e del conseguente lockdown, ho dovuto dirigere un teatro a sipario chiuso, e non è stato semplice. Nonostante le difficoltà, però, abbiamo avuto molte soddisfazioni: siamo riusciti a non mandare il personale in Cig, se non per brevi periodi, e per la nostra attività in streaming abbiamo vinto il “Segal Center Awards”, un premio che viene assegnato ogni anno dal “Martin E. Segal Theatre Center” di New York a chi si è distinto per l’impegno civile e sociale». A parlare Pamela Villoresi, direttrice del teatro Biondo di Palermo nella foto con la regista Irina Brook. «Attraverso il coinvolgimento dei giovani della nostra città siamo inoltre diventati portavoce di quelle parole che rimbalzavano solitarie nelle stanze chiuse delle loro case, raccogliendo quasi 450 scritti da tutti i licei dell’area metropolitana. Il materiale è stato poi rielaborato dai nostri allievi drammaturghi, registi e attori per la realizzazione di due spettacoli. Penso che il Teatro abbia il compito di favorire la crescita culturale dei cittadini del territorio, per questo all’inizio della campagna abbonamenti ho fatto personalmente il giro delle scuole, dalle Madonie fino a Castelvetrano, per parlare con gli studenti. Il risultato è che a oggi abbiamo superato i 3.000 abbonamenti studenti, un numero enorme che non vedevamo da vent’anni. Il nostro palcoscenico è ricco di quel che di meglio si possa trovare nel mercato nazionale, ma attualmente stiamo dando spazio soprattutto agli artisti del territorio: quest’anno infatti sono più di 150 i nostri scritturati siciliani, inseriti in grandi produzioni che andranno in tournée. Non è stato un percorso senza intoppi, dal momento che in Sicilia, più che nel resto del paese, le difficoltà si accentuano: non essere inseriti nel bilancio comunale non ci ha consentito di ricevere il contributo dell’anno 2021, e andare in rosso di quasi un milione e mezzo di euro ci ha fatto perdere l’opportunità di diventare Teatro Nazionale».  «Ma tra tante fatiche ho visto anche molta bellezza, tante collaborazioni e gioia di realizzare i numerosi obiettivi che ci eravamo prefissati: ad esempio rompere la quarta parete tra il teatro e la città, “invadendo” i quartieri di Palermo, non da ultimo il Progetto Itaca, vincitore del bando per le periferie urbane, realizzato a Brancaccio. Nel quartiere abbiamo avviato laboratori di scenografia e sartoria per allestire uno spettacolo che, dopo le recite a Brancaccio, domani debutta al Teatro Biondo. Non posso che essere grata a chi mi ha voluto a Palermo: in primis il nostro presidente Giovanni Puglisi». «Porterò questa esperienza nel mio cuore, e rimarrà una parte importante dei miei 50 anni di teatro; e quale regalo migliore poteva darmi la mia carriera, se non l’occasione di passare il testimone alle generazioni più giovani di me, di essere un anello di trasmissione tra i saperi più antichi e il futuro?». La stagione in corso si intitola “Ritorno al futuro”, come mai questa scelta? «In questi anni di “prigionia” abbiamo vissuto come in una nebbia: era difficile intravedere quando e come saremmo tornati alla socialità. Finalmente torniamo a vedere questo futuro su cui investire e da cui partire per avviare nuovi progetti. Ovviamente, si tratta di un futuro di pace: così abbiamo chiesto ad Aleksey Kondakov, artista ucraino che ha collaborato con noi da Kiev, anche in condizioni molto difficili, di creare l’immagine per la nuova stagione teatrale. Si vede il passato, un amorino in cerca del suo arco, che sfreccia su un Lapino per lanciarsi verso il futuro, attraversando un presente rappresentato dai mercati della nostra città». A breve riprenderanno le prove di Seagull Dreams dal Gabbiano di Čechov, con la regia di Irina Brook, che debutterà il prossimo febbraio, ci può dire qualcosa su questa esperienza di attrice? «Irina ha voluto coinvolgere i giovanissimi allievi della nostra scuola di teatro, così abbiamo fatto le prime prove con alcuni di loro, e devo dire che non mi sentivo così entusiasta dai tempi di Strehler. Irina è una grande poetessa: ha dato spazio all’improvvisazione, creando i rapporti tra i personaggi dello spettacolo, e ora intende riambientare la storia del Gabbiano dalla campagna russa dell’inizio del XX secolo alla campagna americana degli anni Sessanta e Settanta, narrando di uno scontro generazionale nel quale i giovani soccombono agli adulti. È un esperimento che sta venendo molto bene e non vedo l’ora di ricominciare le prove, perché è una gioia fare teatro quando questo è di così alto livello».

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