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«Penso che un sogno così…»

Di Ombretta Grasso |

Ci sono tutta la vita, la storia e il cuore di Giuseppe Fiorello nello spettacolo Penso che un sogno così…, scritto con Vittorio Moroni, regia di Giampiero Solari, one man show da ben 350 repliche che da domani a domenica approda attesissimo al Teatro Abc di Catania. Una autobiografia in musica, «quasi una terapia psicanalitica lunga tre anni», scherza il bravo attore siciliano, cresciuto tra Augusta e Letojanni, ma anche un grande omaggio al suo papà. «Un padre normale, non un eroe ma che ha saputo darmi indicazioni, anche involontarie, e mi ha aperto la porta della vita, della socializzazione, per me sempre chiusa fino all’adolescenza». Con la sua voce pacata, tinta di dolcezza, racconta «l’immenso dolore della perdita nel ‘90», e la necessità per lui «ragazzo dalla timidezza quasi patologica, rinchiuso in se stesso, di aprirsi al mondo». Tutto questo finisce in scena «ma con ricordi divertenti e con la musica di Modugno che diventa la colonna sonora di un pezzo della mia vita».

Lo spettacolo, che presenta ora con emozione nella sua città, «è un gioco di specchi», spiega, la storia di due ragazzi che avevano un sogno, papà Nicola e Modugno. «Mio padre da ragazzo avrebbe voluto fare l’artista, ma non era facile realizzare un sogno del genere. Il coraggio lo trovò mettendo su famiglia, arruolandosi nella Guardia di Finanza, senza restare frustrato. Noi figli abbiamo realizzato in qualche modo il suo sogno, ma lui non ha potuto vederci. Mi piaceva portare in scena questo artista della vita intrecciando la sua storia con quella di Modugno, al quale somigliava moltissimo fisicamente, nella voce, nella gestualità, e che ammirava. Mi ha cresciuto cantando le sue canzoni».

Modugno si ripresenta nella traiettoria di Beppe Fiorello – che ha conquistato il pubblico raccontando una sfilza di personaggi con la sua intensità e la sua bella faccia pulita – in una fiction che incolla davanti alla tv quasi 11 milioni di spettatori. «Quando mi hanno scelto per interpretarlo sono rimasto colpito. Ho preso un libro dello psicanalista Hillman sul tema della vocazione e mi si è aperto un mondo, ho cominciato a scrivere di getto questo testo pensando a mio padre, a Modugno e a quel bambino che ero io, così chiuso e introverso».

Le vite di papà e di Modugno si rincorrono, si confondono «sovrappongo le loro immagini e mi diverto a dire che se mio padre fosse partito da giovane per fare l’artista, Modugno avrebbe avuto un rivale». Scorrono pezzi d’infanzia di Giuseppe. «Come le grandi tavolate di famiglia: la porta di casa era una calamita: chi passava davanti veniva attratto da quel vociare, parlare, cantare». Mangiate infinite «povere ma belle, ricche di vita più che di pietanze» accompagnate dalla canzone La cicoria «in onore di una zia che spadellava sempre verdura».

Brani accennati, altri cantati per intero come Tu sì na cosa grande o Malarazza o Cosa sono le nuvole scritta con Pasolini, «con cui narro un pezzo d’Italia, l’industrializzazione del mio paese, il Petrolchimico, quel progresso diventato illusione. E’ il racconto di un’epoca». L’Italia di quando eravamo piccoli, forse più semplice, magari migliore. «Non c’è un intento nostalgico – precisa – è un percorso divertente, qualche volta commovente. Mi piace l’idea che il pubblico ritrovi qualcosa della propria vita, un padre, una famiglia. Molti si rivedono in quel ragazzino introverso che non sa dire le cose che ha dentro».

Amatissimo dal pubblico televisivo, l’attore tornerà con una miniserie in due puntate su Rai1, Chiedilo al mare tratta da I fantasmi di Portopalo di Giovanni Maria Bellu. «Una storia importante e delicata: nel 1996 a Portopalo di Capo Passero naufragò una nave di giovani cingalesi che scappavano dalla guerra civile. Per molto tempo non se ne seppe nulla, solo un pescatore che tra le reti trovava i corpi, raccontò questa tragedia. Fu un “mare” di gomma», poi lo rivedremo nel film su Falcone e Borsellino che passerà in tv, mentre si sono da poco chiuse le riprese di una commedia per il cinema Chi m’ha visto? da lui prodotta e interpretata con Pierfrancesco Favino coprotagonista, regia di Alessandro Pondi.

Papà Nicola è sempre un punto di riferimento: ne usa l’onestà, la fantasia, per “trovare” i suoi personaggi. «Mi ispiro sempre a lui – confessa – quando ho interpretato Borsellino, ad esempio, perché è stato un uomo dello Stato, integerrimo, ma sempre spiritoso. Per Modugno, per quel suo essere vivace, simpatico. Tutti andavano a chiedergli un consiglio, per la fidanzata, per la famiglia, veniva assoldato per le serenate». Papà è un mondo interiore, un legame sempre da riannodare. Come quello con la Sicilia. Vista da fuori sembra cambiata? « E’ complicato – riflette – noto onestamente tanti miglioramenti, i giovani hanno voglia di scardinare un sistema, a volte però penso che certe battaglie durano poco. Però ci sono anche realtà sociali o imprenditoriali pazzesche, tante start up. C’è una grande Sicilia».

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