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Gli “occhi virtuali” di papà Max premiati a Milano

Gli “occhi virtuali” di papà Max premiati a Milano

E’ una piattaforma hardware indossabile che aiuta i disabili visivi a interagire con la realtà circostante

Di Mariella Caruso |

CATANIA – C’era una volta il signor Bonaventura, personaggio dei fumetti nato dalla matita di Sergio Tofano. Tanto onesto quanto puntualmente sfortunato all’inizio di ognuna delle storie pubblicate a partire dall’inizio del secolo scorso sul Corriere dei Piccoli, per il nostro eroe ogni storia che lo vedeva protagonista finiva invariabilmente con in mano un assegno da un milione, frutto della sua onestà di pensiero e delle azioni positive.   A tornare da Milano con stretto in mano il suo “grant” da 30mila euro, e il sogno di poter accedere a un ulteriore finanziamento di oltre 200mila, è stato il catanese Massimiliano Salfi, presidente e responsabile delle attività scientifiche della onlus vEyes, che sta per “Virtual eyes”. Il suo progetto per la realizzazione di una piattaforma hardware indossabile dotata di cintura e occhiali che consente a non vedenti e ipovedenti di interagire con la realtà circostante attraverso un sistema che riconosce immagini, ostacoli, oggetti, colori e trasmette informazioni attraverso audio e vibrazioni, è stato uno dei dieci – tra i 400 candidatisi – selezionati da Fondazione Vodafone per il bando “Think for social”. Quest’ultimo mette un milione di euro a disposizione di progetti che utilizzano la tecnologia come strumento di sviluppo sociale. I dieci progetti già premiati con il “grant” di 30mila euro, inolte, sono stati ammessi a un programma di accelerazione di quattro mesi all’interno di Polihub, incubatore di startup scientifiche del Politecnico di Milano.   Non stupisca l’accostamento con il personaggio di Tofano. La storia del progetto vEyes, al quale da qualche mese è legata la onlus omonima, prende le mosse da un dramma personale di Massimiliano Salfi, docente di materie informatiche al dipartimento di Matematica dell’Università di Catania, la cui primogenita, oggi undicenne, è affetta da retinite pigmentosa, una distrofia retinica degenerativa su base genetica.   «Quando tre anni fa è arrivata la diagnosi ho cominciato ad assegnare, agli studenti che me ne facevano richiesta, tesi di laurea che avessero come obiettivo la realizzazione di ausili basati su dispositivi mobili come smartphone e tablet per supportare nel quotidiano un disabile visivo – racconta Salfi -. Da qui è nata l’idea della piattaforma base indossabile composta occhiali e cintura che, come una costruzione a mattoncini, possa essere implementata con app di diversa utilità. A oggi, oltre alla funzionalità base del sensore che individua gli ostacoli, è possibile riconoscere il colore di un oggetto e ottenere la versione vocale di un testo scritto».   Hanno già una destinazione anche i 30mila euro del “grant”. «Stiamo lavorando a una applicazione per ila lettura delle etichette, in particolare quelle dei farmaci, e delle banconote», spiega il presidente di vEyes che, tra le prossime app da integrare alla piattaforma, inserisce «una app per la misurazione del glucosio nel sangue, una per la pressione sanguigna, e il riconoscimento facciale che sarebbe fondamentale per gli insegnanti».   A caratterizzare la piattaforma vEyes voluta da Massimiliano Salfi (papà anche di un bimbo di 7 anni e di una di 6 che potrebbe avere la stessa patologia della sorella maggiore), alla quale in questi tre anni si sono avvicinati tanti sviluppatori che hanno condiviso il suo “sogno”, è l’assoluta mancanza di lucro. «Ho ricevuto proposte di acquisizione da parte di diverse multinazionali, ma non mi interessa cedere la piattaforma che continuerà ad essere open source – sottolinea -. Non appena le app vengono testate le rendiamo disponibili gratuitamente, facendo sì che chiunque possa aggiungere il suo mattoncino al dispositivo base che può essere realizzato in economia».   La onlus vEyes, però, non si limita alla progettazione di dispositivi e app. «Stiamo cercando di creare un registro e una rete di collaborazione con ingegneri biomedici di istituti medici che si occupano della patologia, ma è difficile scardinare la diffidenza al lavoro di gruppo», si rammarica Salfi che, però, ha un valido supporto nella figlia maggiore. «È la prima fan del progetto e, va da sé, che è una delle prime a testare le novità», ammette rivelando quello che, fin qui, è l’ultimo dei suoi sogni. «Se conquistassi uno dei tre premi mi piacerebbe acquistare dei banchi di lavoro per realizzare dispositivi su misura a prezzo di costo a chi me li chiede – conclude – perché è assurdo pagare un bastone bianco elettronico 800 euro, quando il suo costo non va oltre i 50».

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