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Siracusa, la Lukoil dimezza la produzione

Siracusa, la Lukoil dimezza la produzione ma nonostante la crisi non licenzia

Il colosso petrolifero russo è sicuro: «Il settore ripartirà»

Di Redazione |

La Lukoil sembra un’entità misteriosa, non solo perché è russa e opera in Sicilia da sei anni, ma anche perché non fa promozione su giornali e tv. In pratica è un’impresa di livello mondiale insediata nell’area industriale siracusana, ma di cui è difficile conoscere programmi e movimenti. Il fatto che può sorprendere è che questa raffineria di livello internazionale non è statale come la Gazprom, ma interamente privata attraverso un azionariato diffuso su scala planetaria. Oggi nel mondo è la seconda compagnia privata dopo la Esso. E’ quotata alla Borsa di Londra e gli azionisti sono inglesi, tedeschi, americani, cinesi, giapponesi senza che ci siano figure di magnati dominanti. Il che anche questa è una stranezza, nel senso che prima della raffineria Isab appartenente alla famiglia genovese dei Garrone si conoscevano i personaggi e perfino quanto spendevano per la squadra di calcio. «I Garrone vendettero nel 2008 il 49% della raffineria – ricorda Claudio Geraci, responsabile delle relazioni esterne – poi via via acquistarono le rimanenti quote ed ora la raffineria dal 1° gennaio del 2014 appartiene al 100% alla Lukoil che non solo raffina il greggio, ma lo commercializza anche attraverso le stazioni di rifornimento. L’investimento complessivo è stato di oltre 3 miliardi di euro. La raffineria dell’area siracusana è molto grande, ma è soltanto una delle raffinerie che Lukoil possiede nel mondo». Oltre alla raffinazione lo stabilimento produce propano e butano e anche energia elettrica. Il greggio arriva attraverso le petroliere che attraccano ai lunghi pontili provenendo da ogni parte del mondo, Americhe, Africa, Medio Oriente, Asia, sono acquisizioni senza frontiere con una società di «trading» che cura gli acquisti sul mercato mondiale. E non c’è alcun programma per la realizzazione di oleodotti per portare il greggio fin qui, tipo i metanodotti dalla Libia e dall’Algeria che approdano in Sicilia, questo perché il costo sarebbe eccessivo, mentre attualmente conviene acquistare il greggio là dove ci sono le offerte più convenienti. Il problema è che in questo momento c’è crisi, per cui la raffineria russo-siracusana, pur avendo la potenzialità di lavorare 18 milioni di tonnellate l’anno di greggio, si ferma a 10 milioni circa. Questo crea pericolo per l’occupazione come sta avvenendo allo stabilimento dell’Eni a Gela? «No – dice Geraci -, perché la proprietà è convinta che il settore petrolifero si riprenderà». E comunque in questi sei anni di gestione russa non ci sono stati licenziamenti e nemmeno un’ora di cassa integrazione, soltanto un centinaio di dipendenti è stato avviato alla pensione. Allora a questo punto ci sarebbe da chiedersi: ma perché la Lukoil nonostante la fase critica mantiene i livelli occupazionali (pur perdendo soldi), mentre l’Eni vorrebbe chiudere brutalmente la raffineria di Gela? I posti di lavoro alla Lukoil (1095) sono sostanzialmente assicurati, e riguardano soprattutto manodopera locale – del resto apprezzata in tutto il mondo -, mentre i russi sono pochi, due top manager e 4-5 capisettore spediti in Sicilia dalla casa madre di Mosca e che comunque a Siracusa si trovano benissimo. Tra l’altro sono stati bravissimi a imparare l’italiano, e magari un po’ di dialetto nostrano. La Lukoil ha il merito di avere assicurato i livelli occupazionali in tempi di crisi e di finanziare attività sociali. Il destino di questa grande area industriale resta ancora il petrolio e lo sarà per altri 50 anni.

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