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In viaggio sul treno nella Valle dei Templi di Agrigento

In viaggio sul treno nella Valle dei Templi di Agrigento

Di Fabio Russello |

La macchina del tempo può viaggiare anche a trenta chilometri all’ora su una vecchia linea ferrata che da Agrigento Bassa conduce fino a Porto Empedocle attraversando la Valle dei Templi. Un viaggio nel tempo a bordo di un treno d’epoca – le gloriose 668 con la loro caratteristica livrea bianca e azzurra e le due vetture 15 e 16, le uniche ormai sopravvissute alla dismissione – fra panorami mozzafiato e profumi di una Sicilia che sa coniugare il passato delle vestigia greche con quello della tradizione mineraria. Perché quando questa ferrovia fu costruita – era il 1874 – serviva per trasportare zolfo e salgemma al porto di Porto Empedocle, l’allora molo di Girgenti, da dove le navi (soprattutto inglesi, perché inglesi erano molte delle concessioni) salpavano portando il prodotto in giro per l’Europa. L’unica via percorribile con i binari era quella di attraversare la Valle dei Templi. L’iniziativa del trenino storico, che ha preso il via sabato scorso, è dell’associazione Ferrovie Kaos e della Fondazione Fs Italiane che per un mese hanno rimesso in linea i treni storici lungo la ferrovia dei templi. Si parte alle 4 del pomeriggio e si torna alle 20, in tempo cioè con le coincidenze con i treni da e per Palermo. Le fermate sono in tutto tre: la prima è Agrigento Bassa, la seconda, di gran lunga la più suggestiva è quella dinnanzi al Tempio di Vulcano e la terza è quella di Porto Empedocle. Ripristinare la linea è stata la lucida follia di un giovane appassionato di treni e di tutto quello che viaggia sui binari. Si chiama Pietro Fattori, ha 34 anni, fa (anche) il giornalista ed è il presidente dell’Associazione Kaos, che è riuscita a coinvolgere la Fondazione Fs Italiane per ripristinare la ferrovia a quasi 40 anni dalla sua chiusura definitiva e ad ottenere in concessione diversi locali della stazione ferroviaria di Porto Empedocle, dove ora c’è pure un museo con diversi cimeli. «L’avventura – spiega Fattori che da bambino stava ore e ore a guardare i treni passare davanti la sua casa – comincia proprio dalla stazione di Porto Empedocle. Una volta venni qui a fare un articolo e seppi che il progetto del Comune di Porto Empedocle era quello di demolire la stazione. Era il 2008. Mi sono detto che non era possibile e da qui è cominciata l’avventura». Una follia adottata dalla Fondazione Fs Italiane che ha inserito la Agrigento Porto Empedocle, assieme ad altre tre tratte italiane, nel progetto “Binari senza tempo”. La partenza del treno storico – pieno come un uovo: tutti i 140 posti sono andati esauriti molto in anticipo – è stata puntuale, ed è l’unico frangente in cui questo treno deve integrarsi con tutto il (poco) traffico ferroviario sulla linea. Almeno è così fino ad Agrigento Bassa, perché è da qui che comincia il vero viaggio nel tempo e in un tempo che si può dilatare perché questo è l’unico treno che circola lungo quella tratta. Pure il biglietto è storico: bianco e rigido come negli anni Settanta. Ad Agrigento Bassa i due macchinisti, i nisseni Enzo Diliberto e Riccardo Cardaci, dipendenti delle Ferrovie con la passione per i treni storici, lasciano i comandi della 668 15 e vanno sulla 668 16, in coda, perché si torna indietro. Il ramo della linea ferrata è infatti una biforcazione che si dipana da Agrigento Bassa. Il tempo di sistemare lo scambio sul binario e via. Lungo questa linea c’è da attraversare due passaggi a livello con barriere e altrettanti senza le barriere. E siccome hanno rubato i cavi, i «pielle» come li chiamano i macchinisti, vanno manovrati manualmente. Il treno si ferma a 50 metri dalla strada che va attraversata (tra le occhiatacce degli automobilisti convinti forse di avere evitato per un soffio una collisione), il personale di bordo scende dal treno, blocca il traffico, abbassa le barriere; il treno passa e si prosegue. Altri due passaggi a livello lungo i dieci chilometri della linea sono senza le barriere perché in aperta campagna. Si va quasi a passo d’uomo, si controlla a destra e a sinistra, e si va. Ad un certo punto, proprio nei pressi di uno di questi varchi, lungo il binario il treno ha incontrato un cagnolino, piuttosto sorpreso di vedere passare un treno. Piuttosto confuso che spaventato, si è spostato solo dopo diversi fischi e molti sfiati di freni. Fino alla fermata del Tempio di Vulcano, in piena Valle dei Templi e a poche decine di metri dalla Kolimbetra: il paesaggio è solo tufo perché questa linea è stata scavata nella pietra caratteristica dei luoghi. Ci sono anche due ponti «gemelli». «Quando la linea era in funzione – ha ricordato Enzo Diliberto, il macchinista che colleziona foto e video delle ferrovie siciliane d’epoca – questi ponti traballavano soprattutto quando erano pieni di salgemma. C’era chi aveva paura». Attraversato il primo ponte, che serve a guadare il fiume Akragas, ecco il curvone in discesa che porta fino alla fermata del Tempio di Vulcano. A destra le ultime due colonne sopravvissute ai 25 secoli di storia, incendi e invasioni, a sinistra la vista mozzafiato dei quattro templi della Valle allineati uno dopo l’altro: Dioscuri, Ercole, Concordia e là in fondo Giunone. Una cartolina. La stragrande maggioranza dei turisti del treno storico sceglie di scendere proprio qui. L’associazione Kaos e la Fondazione Fs Italiane – come ha spiegato Danilo Verruso, segretario dell’associazione che conta una quarantina di soci – danno la possibilità di visitare il Giardino Kolymbetra, la mitica piscina di Akragas gestita dal Fai e, se si vuole, anche la Valle. Verruso è uno che su questa linea ci ha fatto la tesi di laurea sul tema del treno delle miniere che è anche quello della letteratura: Racalmuto, Agrigento e Porto Empedocle e dunque Leonardo Sciascia, Luigi Pirandello e Andrea Camilleri. Al tempio di Vulcano si arriva che sono ancora nemmeno le 5 e c’è tempo fino alle 7 e mezza, quando il treno torna a riprendere i viaggiatori. Le guide turistiche messe a disposizione dal Consorzio Turistico Valle dei Templi di Agrigento raccontano ai visitatori la storia dell’antica Akragas. La 668 invece prosegue il viaggio verso Porto Empedocle dove c’è – come ricorda Enzo Diliberto – il pezzo di binario più vecchio d’Italia, risalente addirittura al 1880. Da qualche parte la data è anche incisa sul ferro. Arrivare a Porto Empedocle, dove il treno percorre anche una discesa piuttosto ripida, è un susseguirsi di scorci di Sicilia: il tufo della Valle dei Templi, la vegetazione fatta di agavi e fichi d’India. Tutto cambia nel giro di cento metri. Tufo, agavi e fichi d’India, poi l’ultima delle tre gallerie, ed ecco il mare di Porto Empedocle, azzurrissimo perché il sole di luglio colora così il mare africano. La galleria ha pure una storia a sé in questa storia: passa sotto (o quasi) la casa natale di Luigi Pirandello ed è qui che nella seconda guerra mondiale l’esercito nascondeva i treni armati di cannoni nell’impossibile tentativo di fermare l’offensiva degli Alleati. Da Porto Empedocle fino agli Anni Settanta partiva pure la linea a scartamento ridotto (lunga 123 chilometri) che conduceva fino a Castelvetrano. Oggi quasi la metà dei binari è interrata, un po’ perché ci hanno costruito (abusivamente) sopra, un po’ perché il tempo e il disuso l’hanno ricoperta di detriti. La stazione di Porto Empedocle è una specie di museo a cielo aperto: i cimeli delle ferrovie che furono, la sala d’aspetto storica, ma anche la piattaforma girevole col binario standard e a scartamento ridotto, che serviva per girare le vecchie locomotive a vapore, i serbatoi dell’acqua, le colonne idriche e persino quei mezzi a pedali che vanno lungo i binari e che in genere si vedono in qualche film d’epoca. C’è pure un mezzo col motore della vecchia Fiat Seicento che viaggia sui binari. Serviva, fino a 50 anni fa, per le ispezioni lungo la linea. Pure il ritorno è un’avventura: uno dei motori di una delle vetture è andato fuori giri e i sistemi di sicurezza (inseriti in epoca recente…) l’hanno sostanzialmente disattivato. E da Porto Empedocle fino ad Agrigento è tutta salita. Inconveniente superato prima con uno stuzzicadenti (per tenere premuto un bottone che non ne voleva sapere) e poi col motore che “volontariamente” si è rimesso a funzionare. Roba d’altri tempi.

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