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Il cinema del disincanto di Di Costanzo, nella società dell’incertezza non c’è spazio per “L’intrusa”

Nella periferia urbana di Napoli (ma potrebbe essere qualsiasi altra città del meridione) non c’è bellezza, non c’è decoro; tutto è essenziale. Giovanna risponde alla sua coscienza solidale di donna impegnata nel sociale. Maria, moglie di un boss, vorrebbe un futuro diverso per i suoi figli

Di Daniela Robberto |

Nella periferia urbana di Napoli (ma potrebbe essere qualsiasi altra città del meridione) non c’è bellezza, non c’è decoro; tutto è essenziale e gli edifici lasciati grezzi nelle facciate, con le sporche vetrate dagli infissi corrosi dalla ruggine impongono  su squallidi cortili  dove macchie di piante spontanee nascono e crescono da sole come gli individui di questi luoghi. La variabile indipendente del caso fa  spietatamente la differenza e, l’essere nati in una famiglia piuttosto che in un’altra, diventa marchio difficilmente delebile.

Leonardo di Costanzo, regista de “L’intrusa”, sa di quello che parla, in lui non c’è alcun atteggiamento di rassegnazione né di disorientamento, solo le crude dinamiche della società dell’incertezza. Definirei il film, selezionato alla Quinzaine Des Realisateurs di Cannes, geometricamente incentrico ma non solo perché si svolge interamente tra le mura del cortile, la casupola, l’officina, il laboratorio pittorico e la cucina della comunità ma anche perché l’occhio  del regista si pone  alla stessa distanza da tutti i personaggi, evidenziandone  senza alcuna parzialità o pregiudizio i ruoli distribuiti dalla vita.

Leonardo Di Costanzo

Il regista Leonardo Di Costanzo

Così Giovanna risponde alla sua coscienza  solidale di donna impegnata nel sociale, la  giustizia spiega le sue armi in una lotta che sa impari, la scuola si rivela un’istituzione per nulla rassicurante e totalmente sorda alle vere problematiche. Poi c’è una giovanissima donna, Maria, un tempo affascinata da falsi valori di ricchezza e successo a cui non crede più ma che continua a sostenerli pur essendo consapevole di una scelta di vita drammatica e senza speranza. Vorrebbe essere come le madri degli altri bambini che minaccia rivendicando il rispetto che si deve “ai malamente”; ma le minacce sono le armi dei minacciati e la donna sognerebbe per la piccola figlia un’esistenza migliore e non come quella  che l’ha svezzata cruentemente, che le ha sbattuto in faccia la parte sporca della vita, che la infetta di vergogna nei confronti del padre e di un presente da cui vorrebbe sfuggire.

Il film  si basa su una vicenda realmente accaduta: narra di Maria (Valentina Vannino), giovanissima moglie di un camorrista braccato e catturato dalle forze dell’ordine che, per uno scambio di persona, ha ucciso un innocente. Pressata dalla necessità di un ricovero per lei ed i suoi figli, di cui uno neonato, chiede e trova asilo nella “Masseria” centro ludico-creativo affiancato ad un istituto scolastico di una zona popolare. Chi gestisce e prende decisioni è Giovanna (Raffaella Giordano), dall’apparenza  algida e dall’aspetto nordico. Con la “ sua erre” arrotondata, con un’eleganza che trapana anche dall’abbigliamento spento e minimale (non dimentichiamo che la Giordano è una coreografa e danzatrice), si prodiga insieme ai suoi collaboratori con i pochi mezzi a disposizione. Lo fa per far dimenticare ai bambini che dopo la scuola frequentano il centro, le irrequietudini della miseria ed allontanare da loro le insidie dell’emarginazione.

L'intrusa Raffaella Giordano

Raffaella Giordano è Giovanna

Giovanna, animata da una vocazione quasi evangelizzatrice, sente il dovere di accogliere la giovane donna del boss di cui  comprende e legge, al di là degli atteggiamenti camorristici, la desolazione della propria condizione. Ma Maria, per il microcosmo  diventato per gli ultimi, stentata fucina di crescita, rappresenta l’intrusa. Gli effetti non tardano a palesarsi nello squinternarsi degli equilibri  tra tutti i componenti della comunità: le madri degli altri bambini non la vogliono perché temono quella vicinanza  e piano piano il Centro si svuota, la scuola  si mostra incapace di saper dare risposte ma di prendere solo  le distanze dalle decisioni di Giovanna liquidandola con burocratiche  parole. Il grosso  rettile in carta pesta giace abbandonato nelle sue componenti nel cortile e, il gigante di ferraglia  non potrà  più circolare e salutare la folla  degli allievi che lo avevano reso elegante con l’enorme cilindro  che ne aveva deciso il nome di “ Mister Jones”.  

Maria allora decide di andar via. Pur nella consapevolezza che la sua decisione  avrà un  costo enorme in termini di solitudine, di esclusione, di continuità malevola per i suoi figli  comprende come questa sia l’unica possibilità di cautela nei confronti di chi rimane affinché nel Centro, un’isola per gli ultimi, ma non ultimi come lei, tutto ritorni al pari di prima ed il cortile possa essere ri-invaso dai piccoli ospiti e la festa talmente agognata e preparata possa avere luogo.

daniela.robberto@gmail.com

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